Andrea De Pasquale

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Riflessioni sul voto di giugno 2009 - L'impegno continua


Bologna, 11 giugno 2009

Cari amici,

dunque, non ce l'ho fatta: non sono stato rieletto, quindi dopo 5 anni saluto il Consiglio provinciale e torno a fare politica da semplice cittadino.

Per non tediarvi troppo, anticipo a mo' di sommario i contenuti di questa Newsletter, la prima della nuova serie: non più "aggiornamenti sull'attività in Provincia", ma riflessioni politiche su Bologna e dintorni.

Rammento a tutti che per non ricevere più questi miei messaggi basta scrivermi una mail e cancello subito il vostro indirizzo dalla mia lista. Al contrario, invito chi cambia indirizzo e desidera restare in contatto con me a comunicarmi il nuovo recapito, e quello di eventuali amici interessati a condividere queste riflessioni.

Sommario:

1) NON SONO STATO RIELETTO: ecco come è andata.

2) DAI NUMERI AI SIGNIFICATI: alcune lezioni dalle elezioni (per chi le vuole ascoltare...)

3) LE SCELTE DEL PD: il profilo degli eletti, la base di rappresentanza, le ricadute politiche. Da attore politico ad agenzia di collocamento.

4) LA MIA PERSONALE SCONFITTA: riflessioni sul perché, e alcune idee da portare avanti.

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1) NON SONO STATO RIELETTO: ecco come è andata.

Nel mio collegio, il 12 "Massarenti", il PD ha preso 5.253 voti, pari al 39,1%. Il sistema elettorale della Provincia, uninominale in 36 collegi (quanti i consiglieri da eleggere), per cui in ogni collegio un partito presenta solo un nome accanto al proprio simbolo, prevede che entrino in consiglio, per ogni partito, i candidati che hanno preso la percentuale più alta all'interno del loro collegio. Con la mia precentuale, risulto 29° in classifica, dietro 28 altri candidati del PD che nei loro hanno preso una percentuale più alta della mia. Poiché il PD porterà a Palazzo Malvezzi 18 consiglieri, anche immaginando che 3 o 4 vengano chiamati in giunta e si dimettano, non si arriverà mai a "scalare" fino al 29°. Ecco perchè sono fuori, e con il cuore in pace: nessun ripescaggio all'orizzonte.

D'altronde si sapeva che il collegio 12 era caratterizzato da un voto moderato e non aveva recentemente mai eletto un candidato a sinistra: aveva eletto me come Margherita (3° a livello provinciale), e un collega di Forza Italia, ma per i DS risultava 31°, uno dei peggiori. L'unione tra Margherita (che nel mio collegio 5 anni fa aveva ottenuto, con me, un 3% in più rispetto alla media provinciale) e DS (che invece aveva ottenuto un 10% in meno), mi poneva esattamente al 29° posto: una situazione difficile in partenza, che non avevo nascosto, e che il mio impegno personale (e l'aiuto di molti di voi) non è riuscito a spostare a sufficienza. Un po' sì, come spiegherò al punto 2), analizzando i numeri: ma non tanto da "scalare" una classifica che ha confermato i calcoli dei "ragionieri" di via Rivani, che nel mio caso hanno perfettamente azzeccato la previsione (ne parliamo al punto 3).

2) DAI NUMERI AI SIGNIFICATI: alcune lezioni dalle elezioni (per chi le vuole ascoltare...)

Parliamo delle elezioni per la provincia, e partiamo dall'affluenza: in provincia passa dall'82,9% del 2004 al 77,7% odierno, segnando un -5.2% di partecipazione; dentro al 77,7 dei votanti però c'è un 4,4% di schede bianche e nulle, che insieme costituirebbero il 5° partito della provincia (dopo PD, PDL, Lega, Di Pietro, e davanti a Casini che totalizza solo un 4,2). In numeri assoluti, su 781.000 aventi diritto, hanno votato in 607.000 (circa 45.000 in meno rispetto al 2004), ma in mezzo a questi 607.000 ci sono appunto 27.000 ad avere espresso un "non voto" (bianca o nulla). La presidente Draghetti prende 332 mila voti (pari al 57,2%), circa 17.000 in più rispetto alla coalizione che la sostiene, e stacca decisamente Raisi, fermo al 33,1%.

Vediamo ora cosa fa il PD, sempre a livello provinciale. Nel 2004 la somma DS + Margherita era stata del 46,6%. Nelle politiche del 2008 il PD aveva raggiunto il 49,9%. Oggi ottiene un 43,4% (alle europee è andata peggio, 42,2). Ma sono i numeri assoluti i più significativi, e allarmanti. Nel 2004 gli elettori che avevano scelto i DS e la Margherita erano stati complessivamente 270.000. Alle politiche del 2008 sul simbolo PD avevano tracciato la croce 323.000 elettori. Oggi quegli elettori sono scesi a 237.000, 33.000 in meno rispetto al 2004 (un calo del 13%), 86.000 in meno rispetto a 14 mesi fa, pari a un calo del 27% in numeri assoluti. In un anno e 2 mesi il PD ha dunque perso, nel territorio provinciale, oltre 1 elettore su 4. Il segretario De Maria però si dichiara soddisfatto. Vedremo dopo perché.

Veniamo ora ai collegi. Abbiamo visto che mediamente, rispetto ai risultati 2004 (somma DS e Margherita), il PD ha perso il 3,2% (da 46,6 a 43,4). Ma d'altro canto le proiezioni fatte dal gruppo dirigente sui singoli collegi sono state quasi interamente rispettate. Dei primi 10 collegi storicamente migliori, quindi "sicuri", ben 8 hanno mantenuto le promesse, confermando l'elezione blindata dei fedelissimi.

Poco importa che molti di questi collegi "migliori" abbiano avuto cali tra il 4 e il 6% (penso ad Anzola, Castelmaggiore, Imola, San Pietro in Casale, Minerbio, Castel San Pietro, San Lazzaro, ma anche Borgo Panigale): chi "doveva" essere eletto lo è stato. Perché quando parti da una rendita di posizione del 52, 53 e finanche 56%, anche il calo più drastico (come quello di Zola, passata dal 56 al 45%) garantiscono comunque l'elezione.

Quando invece parti, come me, ereditando dal collegio un 40,3% storico, allora anche lo sforzo personale, che pure porta contenere il calo del PD all'1,2% (decisamente buono rispetto al calo medio del 3,2%, decisamente ottimo rispetto al calo medio del 4,5% dei collegi "migliori"), non serve a ribaltare la situazione. Paradossale in questo senso la "prestazione" dell'amica Benfenati nel collegio 9 "Galvani-Irnerio", che partendo da una eredità del 31,0% arriva al 31,6%, quindi aumenta i consensi al PD dello 0,6%, unico caso di crescita su 36 collegi. Ma questo ottimo risultato le serve solo a passare dal 34° al 33° posto in classifica, confinandola comunque in zona retrocessione.

Se quindi personalmente posso vantare di avere nel mio collegio "guadagnato" il 2% rispetto alla media provinciale (e Carla addirittura il 3,8), questo non serve a spostare la classifica generale. Ed è quella che decide chi entra e chi sta fuori, ed è su quella che i nostri dirigenti misurano la propria "capacità di governo". Essi infatti hanno espresso soddisfazione per il risultato del Consiglio provinciale (meno per quello Comunale, dove l'ordine non scritto ma sussurrato e variamente interpretato dell'abbinamento territoriale ha prodotto divese sorprese, dal mio punto di vista anche positive: ma di questo parleremo un'altra volta).

L'unico dato del Comune che cito a scopo comparativo è che a Bologna città il PD arriva al 39,9% (85 mila voti, 10.000 in meno della somma DS e Margherita del 2004), mentre sulle schede provinciali, nelle stesse 449 sezioni elettorali interne al territorio del comune (quindi con identica base elettorale), prende il 42,3%, segnando un 2.4% di differenza tra voti PD per la provincia e voti PD per il Comune. A conferma, Draghetti prende a Bologna città 125.000 voti, contro i 112.000 di Delbono. Difficile non pensare ad un "effetto memoria" dell'esperienza Cofferati.

A conclusione di questa lunga carrellata di numeri, tre lezioni:
A - La disaffezione dell'elettorato verso il PD è forte anche qui a Bologna, e ignorarla è un grave errore;
B - I vertici del PD sono più preoccupati del governo interno del partito rispetto al consenso esterno: il controllo su chi entra e chi sta fuori conta di più del numero di voti presi e persi;
C - L'esperienza Cofferati (intesa come capacità o incapacità del partito di gestirlo) è superata solo nelle dichiarazioni dei dirigenti PD, non nello stomaco e nella testa dei bolognesi, compresi molti elettori del PD.

3) LE SCELTE DEL PD: il profilo degli eletti, la base di rappresentanza, le ricadute politiche. Da attore politico ad agenzia di collocamento.

Tutto questo rende chiare alcune scelte fondamentali del PD bolognese, a proposito del profilo degli eletti, quindi della base sociale che intende rappresentare, e del ruolo che assume agli occhi della pubblica opinione.

Rimanendo al Consiglio Provinciale, faccio notare che nel mandato scorso su 20 consiglieri PD solo 2 (io e Conti) venivamo dal mondo dell'attività economica privata. Gli altri 18 erano tutti dipendenti, in piccola parte di aziende private (es. banche), in gran parte della pubblica amministrazione (Comune di Bologna e altri comuni) o di società partecipate dalle pubbliche amministrazioni (ARPA, HERA, ecc), o direttamente del partito. Nel prossimo consiglio mi pare che su 18 non ci sia nessuno che viene dal mondo dell'impresa, del commercio o dell'artigianato. Potrei sbagliarmi perché non li conosco proprio tutti, ma da quanto vedo il PD in provincia si identificherà totalmente con il partito della Pubblica Amministrazione, e non darà minimamente rappresentanza a quel mondo di partite iva e piccole imprese che si sbattono quotidianamente per fare in modo che i ricavi siano almeno di un euro superiori ai costi.

A ben guardare, si tratta di una vera e propria frattura sociale.

Da un lato un blocco sociale di dipendenti pubblici (direttamente o indirettamente), chiamati ad amministrare gli enti locali avendo un'esperienza e una nozione del denaro esclusivamente come frutto di prelievo fiscale, e che davanti alla crescita della domanda di intervento pubblico rispondono o aumentando il prelievo, o indebitando la collettività.

All'opposto sta un blocco sociale che possiamo definire del lavoro autonomo, o del rischio di impresa, numericamente in espansione (molti ex dipendenti oggi devono guadagnarsi da vivere come autonomi), che invece paga di persona e si indebita in proprio, e tollera con sempre maggiore fatica un atteggiamento della pubblica amministrazione che appare esoso e parassitario, e se ne difende ricorrendo spesso all'evasione fiscale.

Si accorge il PD di diventare di fatto, per questa strada, il partito del pubblico impiego e della pubblica spesa? Si è mai posto qualche domanda sull'opportunità di dare rappresentanza non solo teorica, non solo accademica, anche a questo blocco sociale, condannato altrimenti a scegliere tra PDL, Lega e UDC? Si è chiesto se non sia il caso di prevedere, oltre alle ormai logore "quote rosa", anche una qualche "quota iva" per evitare la totale ignoranza delle dinamiche e delle sofferenze di chi gestisce attività economiche a proprio rischio, e che rappresentano il principale generatore di occupazione, mobilità sociale e benessere per un territorio?

Infine una nota sul ruolo che il PD assume agli occhi della pubblica opinione, che traggo dalle 3 settimane di banchetti per le strade del mio collegio, che mi hanno offerto un ricco spaccato delle reazioni e dei commenti della gente comune davanti alla proposta "vota PD".

A ben vedere, dal loro punto di vista Caronna e De Maria hanno ragione ad essere soddisfatti: le elezioni sono andate bene, il partito ha funzionato. Nel senso di ufficio di collocamento, secondo il ritornello più ricorrente nei commenti raccolti per strada in questa campagna elettorale. E come dare torto a questa "vox populi"?

Con manifesti appiccicati da Piacenza a Rimini il segretario regionale si è garantito un posto in Europa (18.000 Euro al mese, per 5 anni), sia pure con qualche problema di immagine (il sorpasso di Prodi, per il quale il partito non ha speso un decimo dello sforzo fatto per il Segretario). Sfuggono a me come a tanti, anche dentro il PD, i meriti politici che hanno portato Salvatore Caronna al parlamento europeo, e chiedo aiuto a quanti mi leggono per aiutarmi a ricordare qualcosa che il nostro segretario regionale abbia fatto (in senso di contenuto, di azione politica di merito, di battaglia pubblica per qualcosa: un ordine del giorno, una mozione, una proposta amministrativa, una idea qualsiasi) prima da consigliere Comunale, poi da consigliere Regionale. E dire che soprattutto sulla sua presenza in Regione avevamo contato, noi fissati con il trasporto pubblico, e ferroviario in particolare: un po' di lobbing per qualche treno in più, qualche azione a favore del Servizio Ferroviario Metropolitano di Bologna. Da presidente della Commissione Trasporti della provincia in questi anni non mi sono accorto della sua presenza in consiglio regionale: forse perché sono distratto.

La vicenda di Andrea De Maria non è molto diversa. Anche lui ha usato il partito per garantirsi l'ingresso in consiglio comunale, e credo sarebbe giusto, come iscritti, conoscere la quantità e il costo dei materiali promozionali che il partito ha per lui (come per Caronna) prodotto e diffuso, con risorse da noi tutti finanziate. Sarebbe un importante segno di trasparenza (vedi in proposito la lettera che alcuni mesi fa ho scritto a Mauro Roda, il tesoriere di partito, prima DS e poi PD, ora approdato alla presidenza del Quartiere San Vitale).

Riassumendo: Roda al San Vitale, De Maria in Comune, Caronna in Europa, una dozzina abbondante di fedeli funzionari in consiglio Provinciale. I ragionieri del calcolo elettorale hanno lavorato bene. Missione compiuta.

Mi resta però negli occhi l'immagine di un partito che vive di rendita, che consuma un patrimonio ereditato, che si attacca avidamente a quello che gli resta (i collegi sicuri, la macchina propagandistica, lo zoccolo duro) per garantire un futuro alla propria classe dirigente. Un po' come Willy il Coyote che riga con le unghie la roccia prima di precipitare nel canyon.

E di un partito incomprensibile, o forse opportunista, che dice una cosa e ne fa un'altra, o meglio cerca di garantirsi un margine per cambiare idea e posizione a seconda delle circostanze. Pensiamo al ballottaggio al comune di Bologna: il nostro Delbono ha di fronte Cazzola, dipinto come affarista intenzionato a scalare Palazzo d'Accursio per vendicarsi del caso Romilia.

La chiamata alle armi del PD contro Cazzola sarebbe forse più incisiva e credibile se proprio il PD non avesse scelto di premiare due dei principali alleati di Cazzola null'affare Romilia, ovvero Nara Rebecchi, ex sindaco di Medicina e grande sostenitrice del progetto di Cazzola, promossa a consigliera provinciale; e Onelio Rambaldi, padrone delle terre su cui Cazzola voleva costruire Romilia, col quale aveva già sottoscritto un accordo di vendita, promosso a sindaco di Medicina, guardacaso proprio il comune dove Cazzola voleva fare Romilia.

Non vi sembra strano? A Bologna dobbiamo combattere contro l'affarista candidato a sindaco per il PDL, mentre in provincia mandiamo avanti noi, come PD, i suoi principali alleati e sostenitori. Mah.

Il guaio è che di questo passo Berlusconi ci governerà fino alla tomba. Perché non riusciamo ad essere credibilmente diversi.

4) LA MIA PERSONALE SCONFITTA: riflessioni sul perché, e alcune idee da portare avanti.

La mia sconfitta elettorale si deve secondo me al fatto di avere cercato di essere un innovatore nel luogo politico più conservatore, almeno a Bologna. Me ne sono reso conto facendo appunto campagna per strada, parlando che le persone comuni. In proposito riporto quanto mi ha scritto ieri un amico, molto lucido:

"Mi sembra che in fase di elezione conta poco il modo in cui un candidato ha operato all'interno delle istituzioni, mentre prevale l'appoggio
o meno che ha dal proprio partito. I risultati di questa votazione insegnano che il tentativo di cambiare un partito dall'interno ha costi personali elevati.
Chi segue il partito ti considera un "rompi scatole"; chi ne sta fuori non
riesce ad apprezzare l'innovazione, perchè prevale l'idea che tutti coloro
che operano all'interno di un partito ne condividano al 100% contenuti e
modi. Anche chi ha provato ha sollecitare un cambiamento dal di fuori del PD ha incontrato notevoli difficoltà. Sia che abbia provato in modo conflittuale
(Pasquino), sia che abbia provato in modo amichevole (Bologna 2014). La
motivazione è sempre la stessa: di fatto si cerca consenso in chi diffida
delle tue origini e delle tue amicizie e quindi si raccolgono solo i voti dei
pochi che sono attenti a queste dinamiche. Continuo tuttavia a ritenere che il PD abbia bisogno di un forte cambiamento, a tutti i livelli (...)
".

Insomma, sono stato elettoralmente schiacciato da due lati.

Da un lato perché dall'esterno sono apparso integrato nel partito (consigliere provinciale, presidente di commissione...), quindi complice, agli occhi dei cittadini più critici e scontenti, di un sistema che non ero in grado visibilmente di condizionare, almeno nel breve termine. E che quindi mi hanno detto, nelle urne: ti voterei anche, ma sei nel PD, e non lo cambi certo tu.

Dall'altro perchè troppo spericolato per i funzionari di partito, che hanno subito più che apprezzato la mia azione di trasparenza e rendicontazione, e che mi hanno apertamente rimproverato l'eccessiva nettezza con cui ho preso posizione su alcune questioni (Romilia ad esempio) sulle quali il partito preferiva atteggiamenti più sfumati, forse per non precludersi diversi orientamenti in futuro.

Emblematica la vicenda della mia lettera, del maggio 2008, ai vertici del PD sull'inopportunità di schierare il partito sulla ricandidatura di Cofferati e soffocare ogni dibattito in merito. I fatti successivi mi hanno dato ampiamente ragione, ma questo non conta: conta invece l'alzata di testa, l'essere uscito dal coro, l'avere detto che il re era nudo quando invece c'era l'accordo di celebrarne il vestito. E conta in negativo.

Sorrido leggendo in questi giorni le dichiarazioni dei miei dirigenti sul fatto che l'exploit della lista Grillo merita attenzione e rispetto. Sorrido perché con un po' di intelligenza e di coraggio potevamo non lasciare a loro la bandiera della trasparenza, sostenendo magari qualche mia proposta al riguardo. E anche perché di tutti i consiglieri provinciali del Pd l'unico ad essere andato ai banchetti dei ragazzi di Grillo per autenticare le firme sulla proposta di legge regionale riguardanti le nomine nelle società partecipate sono stato io. Se il partito avesse voluto, ci avrebbe messo poco a intercettare quella domanda di pulizia e limpidezza: bastava accogliere e fare nostra qualche loro richiesta, peraltro di buon senso. Non lo abbiamo fatto, non lo abbiamo voluto fare, quando potevamo e secondo me dovevamo farlo. Ora credo che esprimere interesse e rispetto sia un corteggiamento tardivo e inutile.

E' tardissimo, e io sono stato lunghissimo. Me ne scuso.

Personalmente ringrazio i tanti di voi che mi hanno espresso stima e dato sostegno. Alcuni vostri messaggi mi hanno colpito e commosso, e quasi spaventato, come se avessi mosso speranze e attese eccessive, fuori dalla mia portata.

Sono ovviamente dispiaciuto della mancata elezione, ma anche sereno.

Ho l'orgoglio di avere affrontato il mio mandato come un'opportunità bella e interessante, come una partita in cui dare il massimo, e di avere presentato un bilancio finale che credo positivo, proprio sotto il profilo del rapporto "costo-prestazione". Sapete quanto vi sono costato, in termini di denaro pubblico, e sapete cosa ho fatto per questo costo. Ho avuto anche grandi soddisfazioni, l'ultima delle quali è stata la bellissima lettera che molti di voi, quasi 50, hanno firmato, a dire che ho fatto bene il lavoro di consigliere: non è poco, ve lo assicuro. Come diceva mio nonno, non si vive di solo pane.

Sulle idee, sui contenuti e sullo stile che mi hanno caratterizzato in questi anni non arretro di un millimetro. Anzi, rinnovo l'impegno, a seguire, sia pure da fuori delle istituzioni, il tema della trasparenza, della coerenza in materia di pianificazione e trasporti, e della rappresentanza politica del mondo del lavoro autonomo e della piccola impresa. Spero di avere molti di voi come compagni in questa strada.

A proposito di lavoro e impresa, approfitterò della mancata elezione per dedicarmi un po' di più alla mia azienda: una realtà piccola, una ventina di persone, esposta come tutte ai rischi e alla crisi, ma finora capace di cavarsela, di fare gruppo, di affrontare le difficoltà con affiatamento e spirito di squadra. Anche lavorando si fa politica: resistere alla crisi, difendere i posti di lavoro, evolvere per non restare tagliati fuori, cercare di migliorarsi per essere più competitivi, sono obiettivi non solo di un orizzonte privato, ma anche di respiro collettivo. Se nonostante tutto l'Italia (ma potrei dire il mondo) va avanti, credo che sia perché migliaia, anzi milioni di persone scelgono ogni giorno di lavorare bene, di dare il meglio di sè nel quotidiano. E non c'è partito ottuso o collegio ostico che possa tagliarmi (o tagliarci) fuori da questa possibilità potente ma insieme ordinaria di cambiare il mondo dal basso, a partire dalle piccole cose.

Non perdiamoci quindi di vista: l'avventura continua, sia pure con mezzi diversi. E grazie a tutti per avere condiviso con me almeno qualche pezzo di strada.

Andrea De Pasquale
www.andreadepasquale.it
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