Andrea De Pasquale

Bologna e dintorni, gennaio 2010


30 gennaio 2010

Cari amici,

eccomi al mio riassunto degli eventi politici di gennaio, dominati evidentemente dalle fresche dimissioni del sindaco, che ritengo rappresentino uno spartiacque per Bologna ed un'occasione di verità per il PD ed i rapporti tra la sua base e i suoi dirigenti.

1) PRIMA DI DELBONO: AVANTI CON FINZIONI E OPPORTUNISMI
2) DURANTE DELBONO: TRASPARENZA? ROBA DA MORALISTI
3) DOPO DELBONO: UN NUOVO PD PER BOLOGNA

Per chi ha poco tempo, anticipo qui la mia tesi: il berlusconismo è evidentemente entrato nel PD. Alla prova dei fatti, il PD si scopre simile nei comportamenti e nei riflessi al PDL, ma poiché predica ad ogni passo la propria "diversità morale" risulta più ipocrita. Quindi non viene percepito come vera alternativa al centrodestra, e ne resta subalterno. L'unica speranza è che il caso Delbono generi una rottura e un forte ricambio nella dirigenza locale, che ci permetta di essere davvero (e non solo di dirci a parole) alternativi a Berlusconi. Se prevale la continuità siamo finiti.

Rammento a tutti quelli che ricevono questa Newsletter che per essere eliminati dal mio indirizzario basta chiedermelo con una mail.

1) PRIMA DI DELBONO: AVANTI CON FINZIONI E OPPORTUNISMI

Lo schianto della sindacatura Delbono dopo appena 7 mesi è l'epilogo di una parabola ultradecennale, iniziata dopo Vitali, l'ultimo sindaco "normale" (e galantuomo: sempre disponibile e gentile, anche da senatore, e capace di riconoscere pubblicamente i suoi errori da sindaco, come fece sull'Unità a proposito degli strumenti urbanistici in deroga alla pianificazione).

Una parabola tracciata cooptando figure obbedienti piuttosto che capaci. Premiando il funzionariato di partito piuttosto che la rappresentanza sociale. Preferendo il grigiore e l'inconsistenza di persone controllabili all'iniziativa e alla personalità di figure libere. Così sono state lungamente selezionate e formate le prime linee della dirigenza attuale del PD. Che anche oggi fanno muro per spegnere ogni riflessione critica, fingendo - come hanno fatto sempre - che tutto vada bene. Senza autocritica, senza assunzioni di responsabilità.  

Ripensiamo alla stagione Cofferati, prima osannato poi tollerato sempre più a fatica in città, senza che mai in 5 anni il partito esprimesse a suo riguardo un giudizio politico. Chi come me (e come Andrea Forlani, il presidente del quartiere Santo Stefano) disse per tempo (prima riservatamene, vedi lettera ai dirigenti PD, poi pubblicamente) che così non andava, incontrò un muro di gomma. Mi veniva detto: "Non dobbiamo dire che Cofferati ha operato male: è politicamente più furbo dirsi dispiaciuti per la sua indisponibilità a ricandidarsi e fingere di credere ai motivi familiari". L'essenza della politica dunque come arte di evitare il giudizio politico, e di praticare al suo posto finzione e opportunismo. Il partito con il 49% dei voti in città allineato e nascosto dietro la tettarella del piccolo Edoardo.

Un atteggiamento che è stato  premiato. Ci sono uomini PD che in 24 ore sono passate dalla difesa militare di Cofferati alla campagna elettorale di un Delbono che doveva marcare la discontinuità col sindaco in carica, col paradosso che il mercoledì mattina hanno dovuto rispondere, come ufficio stampa di Delbono, alla nota che essi stessi avevano redatto il martedì sera per conto di Cofferati. A conferma che nel PD bolognese non fa curriculum avere intuito politico, capacità amministrativa e coraggio di affrontare i problemi, ma l'appiattimento tattico, il conformismo intellettuale e l'obbedienza gerarchica: questo sì rassicura, questo sì apre alla carriera. Coi risultati che abbiamo sotto gli occhi.

2) DURANTE DELBONO: TRASPARENZA? ROBA DA MORALISTI

Il 30 dicembre 2009 il segretario provinciale del PD, Andrea De Maria, davanti alle avvisaglie dell'inchiesta sul sindaco dichiarava: "Non c'è alcuna ragione di enfatizzare quella che è la semplice coda dei veleni della campagna elettorale, su cui gli elettori bolognesi si sono già chiaramente espressi eleggendo sindaco Flavio Delbono". Frasi del tutto simili a quelle con cui aveva liquidato le "anomalie" registrate durante le primarie, quando misteriosamente la propaganda per Delbono aveva raggiunto nominativamente tutti i votanti alle primarie, mentre ad altri candidati sono stati negati perfino gli elenchi degli iscritti. "Ormai le primarie le ha vinte Delbono, basta con queste sciocchezze", aveva risposto seccato De Maria a quanti avevano segnalato l'anomalia. Insomma, il risultato elettorale come lavacro e come condono tombale sui metodi e sui comportamenti del vincitore.

Una linea sostanzialmente berlusconiana
, a cui si è attenuto fino al 23 gennaio tutto il partito. Da Delbono in primis, con le sue apparizioni televisive senza domande e senza contraddittorio, le ripetute accuse alla stampa di fare gossip e le promesse poi regolarmente mancate di chiarimento alla città. Al capogruppo PD in consiglio comunale, Sergio Lo Giudice, che lunedì 18 ha schierato i consiglieri PD contro un ordine del giorno - da lui definito "da Santa Inquisizione" - nel quale il centrodestra chiedeva al sindaco, a inchiesta conclusa, un gesto di trasparenza. Fino alla figura mitica impersonata dall'avvocato Paolo Trombetti, contemporaneamente amico personale del sindaco, suo difensore e portavoce verso la stampa riguardo il Cinzia-Gate, ma anche uomo pubblico e politico: è infatti il presidente del Forum PD sulla Giustizia, coordinatore per Bologna di RED (l'associazione di Massimo D'Alema), e membro del Consiglio di Amministrazione di Hera, incarico ben retribuito conferitogli dallo stesso Delbono. Bene, questo principe del foro bolognese e bandiera della sinistra locale quale strategia difensiva e comunicativa sceglie? Quella di negare, negare ancora, negare sempre qualunque responsabilità del suo assistito (e insieme tutore politico). Pare che Niccolò Ghedini gli abbia telefonato per complimentarsi e proporgli un ruolo nel collegio difensivo del Premier.

Orbene: se al dunque il PD dimostra di comportarsi in modo tremendamente simile al PDL, cosa andiamo a raccontare ai nostri elettori, che per anni abbiamo illuso di una nostra diversità? Possiamo proporci come alternativa alla destra se ne imitiamo i riflessi e gli stili? E' vero, a distinguerci ci sono state le dimissioni di Delbono da sindaco. Scelta di certo meritoria, ma anche contraddittoria (sabato 23 pomeriggio dichiara: "l'idea non mi ha mai sfiorato il cervello, non sono ricattabile e non mi dimetto nemmeno se rinviato a giudizio". Lunedì 25 mattina cambia idea, senza nemmeno il rinvio a giudizio). Ma soprattutto scelta dovuta: e invece le dimissioni vengono oggi narrate nei circoli come atto eroico e purificatorio per l'intero gruppo dirigente, in questo sostenuti da una imbarazzante intervista di Romano Prodi, anche lui in piena sindrome da sottovalutazione politica delle vicende del suo pupillo (ricordate la sua mano sulla spalla del candidato sindaco nei manifesti elettorali?)

E dire che per evitare questa situazione bastava applicare le regole che il Partito si era dato. Come quelle all'art. 3 del Codice Etico. Che non fa solo affermazioni di principio come "Le donne e gli uomini del Partito Democratico ispirano il proprio stile politico all’onestà e alla sobrietà.  Non abusano della loro autorità o carica istituzionale per trarne privilegi; rifiutano una gestione oligarchica o clientelare del potere, logiche di scambio o pressioni indebite", come si dice all'articolo 2 comma 5. Ma continua, all'articolo 3 comma 2, come segue:

"Ciascun dirigente, ogni componente di governo a tutti i livelli, le elette e gli eletti nelle liste del Partito Democratico ... comunicano la proprietà, la partecipazione, la gestione o l’amministrazione di società ovvero di enti aventi fini di lucro; (...) si impegnano a rendicontare, con una relazione dettagliata, le somme impegnate individualmente o i contributi ricevuti da terzi e destinati all’attività politica ovvero alle campagne elettorali o alle competizioni interne al partito".

Sarebbe bastato quindi che Caronna e De Maria chiedessero a Delbono di assolvere a questi impegni, previsti dalla carta fondativa del suo e nostro partito, al momento della candidatura alle primarie, per evitarci di apprendere per via giudiziaria dell'esistenza di società bulgare, col contorno di traffici e favori che sta emergendo. Sarebbe bastato rispettare la clausola di trasparenza sulle risorse usate nelle due campagne elettorali (primarie e amministrative) per non sobbalzare davanti all'odore di salsiccia alla brace che compare nelle dichiarazioni pubbliche dell'amico Divani (quello del bancomat) ma ricorda anche la famosa Festa del Maiale organizzata da un altro amico, l'imprenditore Monti, proprietario di una catena del benessere (il Villaggio della Salute, le Terme Felsinee, ecc.) che fu uno dei più entusiasti sostenitori di Delbono (ricordo in proposito una sua sperticata intervista a Repubblica). Un sostegno solo verbale o anche di altro tipo? E in cambio di cosa?

E invece niente. A Delbono nulla di questo è stato chiesto. Forse perché la pretesa di far rispettare le regole di trasparenza veniva da sciocchi moralisti, da petulanti malpancisti, da consiglieri ingenui e politici implumi, che avevano già rotto le scatole con battaglie populiste e minoritarie (la ribellione al "firma e fuggi" nelle Commissioni consigliari, la richiesta di rendere pubbliche le spese di funzionamento del Consiglio, la trasparenza sull'uso del denaro riservato ai Gruppi Consigliari, la domanda su dove finiscono i contributi degli eletti versati al partito... tutta roba documentata sul mio sito e nel protocollo della Provincia). Quindi da gente incapace di capire come girano le cose, come si sta al mondo, come si fa politica.

Gente che pure venne a tediare alcuni dirigenti, già lanciati su Delbono candidato alle primarie, con la storia della sua vulnerabilità per le voci concordanti su comportamenti molto disinvolti e spregiudicati che un giorno potrebbero essere usati contro di lui sindaco, con danno enorme per tutto il partito. Gente insomma screditata, a cui giustamente quei dirigenti risposero facendo spallucce. "Ma a chi vuoi che interessino queste cose, sono fisime di pochi, la gente guarda ad altro, la competenza economica, la capacità amministrativa, poi se qualcosa verrà fuori gestiremo la situazione. Non preoccuparti, l'importante è sconfiggere la destra, fare una bella campagna, convincere amici e parenti a voltarlo...".

Beh, cari amici, oggi io non ci sto a cadere dalle nuvole. Non ci sto a dire che finché la magistratura non finisce il suo lavoro non c'è nulla da dire. Perché non è affatto vero che tutto quello che non è penalmente rilevante è anche politicamente opportuno. Un certo stile di Delbono (ad esempio quello di cumulare incarichi, di portarsi su lavoro relazioni personali, di utilizzare in modo disinvolto strumenti pubblici), era pubblico e noto. Non si tratta di reati, ma comunque di aspetti che un partito serio deve considerare. Come la lettera - terribile - in carta intestata della Regione con cui Delbono scaricava la Cracchi a Cup 2000 come un soprammobile usato, chiedendo al contempo di essere costantemente informato di orari e assenze di lei (passata ad altro datore di lavoro), e pretendendo di autorizzarne previamente le richieste di ferie. Un atteggiamento padronale verso le istituzioni e le persone che non ha nessun bisogno della magistratura per essere giudicato. E sul quale avrei voluto sentire la voce di donne PD sensibili alla causa femminile, come l'assessora Lembi, che reagì rumorosamente all'appellativo "carina" usatole dal consigliere Tomassini, ma che sul ruolo della donna nell'affaire Delbono - Cracchi non ha trovato nulla da dire.

Io la penso diversamente. Io rifiuto l'idea di nascondermi dietro all'indagine penale per evitare, ancora una volta, il giudizio politico. Che spetta a noi, non ai magistrati. E che mi fa dire che quello stile e quei comportamenti, anche se penalmente irrilevanti, non sono belli e non sono coerenti con i valori del PD. E che quindi chi ha scelto Delbono come candidato sindaco a Bologna, di fatto imponendolo attraverso primarie drogate (per la propaganda a senso unico, non ci hanno ancora detto se pagata dal partito o da altri) e blindate (tutti i circoli erano diventati comitati elettorali di Delbono), ha sbagliato e oggi deve portare la responsabilità di questo errore.

3) DOPO DELBONO: UN NUOVO PD PER BOLOGNA

"Non siamo migliori a prescindere". "Invece lo siamo". In questo scambio di ieri sera al Circolo Cirenaica tra me e un dirigente si riassume a mio giudizio il bivio che il PD bolognese ha davanti.

Se prevarrà la linea minimizzatrice, che parla di piccole debolezze personali totalmente imprevedibili, e grande senso di responsabilità dimostrato dal sindaco e dal partito, facendo leva su una nostra "superiorità morale" innata rispetto alla destra, sono convinto che andremo verso la sconfitta elettorale. Ne è prova la domanda che alcuni anziani militanti, fedeli e disciplinati, hanno fatto dopo tali spiegazioni: "Allora perché il sindaco si è dimesso? Non doveva". 

Se prevarrà invece un'altra linea, di profoda autocritica, che passa attraverso le scuse alla città e l'ammissione di responsabilità da parte di De Maria e Caronna (il quale, avendo usato il partito per garantirsi uno stipendio lauto e sicuro in Europa, oggi dovrebbe almeno prendersi in carico uno dei Presidenti di Quartiere o un paio di Consiglieri Comunali rimasti grazie a lui senza stipendio...), allora, per quanto dura, avremo davanti una strada di riscatto.

Credo abbia ragione chi dice che la base del PD si merita di meglio di questi dirigenti. Che occorra andare dagli elettori con la cenere sul capo, e chiedere scusa. Che è l'ora di riprendere il discorso di un'etica nel partito e nelle istituzioni. E di cercare persone che fanno politica senza vivere di politica. Che hanno un lavoro vero, non dipendente dalla politica, e che possono fare politica da uomini e donne libere. 

In questa prospettiva vi segnalo una iniziativa partita prima dell'esplosione del caso Delbono: si tratta di un documento in 10 punti intitolato UN NUOVO PD PER BOLOGNA, che insieme ad altri 28 iscritti (tra cui anche segretari di circolo e amministratori eletti) ho contribuito a scrivere e che è stato ufficialmente presentato alla Direzione di venerdì 22 gennaio, in via Rivani.

E' un documento che parla di riorganizzazione del partito nel senso di una maggiore democrazia e trasparenza. I 29 promotori sono trasversali rispetto alle 3 mozioni congressuali (ci trovate bersaniani, franceschiniani e mariniani) e anche rispetto alle provenienze (ex DS, ex Margherita, ex nessuno).

Ad esso in pochi giorni hanno aderito una settantina di altri iscritti ed eletti a vari livelli istituzionali (dal consiglio comunale al parlamento). Lo propongo anche a voi come spunto per il rinnovamento del nostro partito.

Lo trovate sul sito http://nuovopdbo.wordpress.com e anche sul mio sito. Potete sottoscriverlo inviando un messaggio a nuovopdbologna@gmail.com

Molte altre cose mi ero segnato per questo rendiconto mensile: sul piano nazionale, la vicenda di Castelvolturno, emblematica di come in Italia vi sia troppa tolleranza verso una certa illegalità (il lavoro nero che strangola gli sfruttati), e molta ipocrisia verso i risultati di questa tolleranza. Riporto la domanda chiave di Gad Lerner al ministro Maroni: "Chi ha troppo tollerato che cosa, signor ministro?" E una notizia che forse è sfuggita ai più: il 60% degli stranieri di Castelvolturno erano immigrati regolari (fonte: Corriere della Sera, 12 gennaio 2010, pag. 13).

Significativa anche la vicenda pugliese, dove il PD (guidato dall'Ineffabile coi baffi) è andato dritto contro un muro che tutti avevano visto tranne l'uomo di intelligenza superiore, che per onorare un patto siglato a Roma con Casini ha pensato in 4 giorni di ribaltare il giudizio sui 5 anni di governo in regione. Se si voleva sostituire Vendola, bastava dire per tempo che la sua amministrazione era insoddisfacente. Quello che non si può fare, perché i nostri elettori giustamente non capiscono, è dire per 4 anni e mezzo che il governo pugliese va bene e poi alzarsi una mattina e chiedere agli stessi elettori di votargli contro. 

E poi il grande tema del trasporto ferroviario, con pendolari sempre più bistrattati e un'alta velocità con il 95% dei treni in ritardo tra Bologna e Firenze, pare per un calcolo errato su pendenza e potenza delle motrici. E l'amministratore delegato Moretti che con noncuranza dice di portarsi panni e panini perché non si sa mai.

E infine la perdurante azione di smantellamento dell'attività giudiziaria, presa nella tenaglia di leggi taglia processi e organici sempre più scarsi e dotazioni sempre più lacunose.

Ma non ho il tempo e lo spazio. Spero di poterci tornare sopra con calma.

Chiudo con un invito inconsueto, a vedere un film: L'uomo che verrà. Bolognese per regia e per ambientazione, è un'opera dolorosa e intensissima che parla della guerra in generale e della strage di Monte Sole in particolare, osservandola dal basso, con gli occhi di una bambina di una famiglia contadina dell'epoca. Una prospettiva insolita, molto equilibrata e molto vera.

Un saluto a tutti, e alla prossima.

Andrea De Pasquale
www.andreadepasquale.it
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