Andrea De Pasquale

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Bologna e dintorni, settembre-ottobre 2011

1 novembre 2011

Cari amici,

eccomi alla nota periodica sugli avvenimenti politici di Bologna e dintorni nei mesi di settembre e ottobre. Trovate le precedenti sul mio sito. Rammento che per non ricevere questi messaggi è sufficiente chiedermi la cancellazione da questa lista, mentre se avete amici interessati segnalatemi la loro e-mail.

Questi gli argomenti del mese:

1) IL CIVIS SU UN BINARIO MORTO. OCCHI APERTI SUL PEOPLE MOVER.

2) GENITORI, SPOSATI, MAZZIATI. IL TICKET E LA DISCRIMINAZIONE MADE IN EMILIA ROMAGNA

3) CATTOLICI IN POLITICA: RISPOSTE CHIARE, LETTURE FUORVIANTI.

Buona lettura!

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1) IL CIVIS SU UN BINARIO MORTO. OCCHI APERTI SUL PEOPLE MOVER.

Nelle scorse settimane il Comune ha sospeso i lavori preparatori all'entrata in esercizio del Civis, a motivo dei dubbi non risolti sull'effettiva possibilità che quel mezzo possa effettivamente circolare sulle nostre strade (la guida ottica è risultata inaffidabile). Cantieri aperti da anni sono quindi stati fermati. Sui 182 milioni di costo complessivo dell'opera (tra rifacimenti stradali, linea elettrificata, acquisto dei mezzi), ne sono stati spesi 102 (come dichiarato in Commissione Trasporti la scorsa settimana).

L'assessore ai trasporti Andrea Colombo ha dichiarato che i lavori fatti sono comunque utili alla città. Mi sono permesso di dissentire (via Facebook): almeno in alcune vie (Mazzini a Bologna, Kennedy a S. Lazzaro) la configurazione stradale era evidentemente pensata per il Civis, non per altri mezzi. Le banchine alte e sporgenti dovevano servire per entrare in autobus senza gradini, grazie all'accostamento a raso guidato dalla telecamera del Civis; un autobus normale fatica a sfiorare la banchina senza rischiare di toccarla, e a questo punto l'altezza diventa un ostacolo anziché un beneficio (l'utente che sale in bus deve scavalcare un "fossato" profondo 40 centimetri). Non parliamo poi delle biciclette: le penisole sporgenti le costringono a deviare verso il centro della strada, creando pericolo al ciclista e rallentamento del traffico veicolare. Insomma, i lavori stradali finalizzati al Civis - e oggi interrotti - non mi sembra abbiano portato Bologna in paradiso.

Il sindaco ha rassicurato sul fatto che i fondi (ripeto: 182 milioni, la maggior parte utilizzati per sistemazioni stradali) sono in salvo. Ma tra gli addetti ai lavori ho personalmente raccolto qualche dubbio, fondato sulla lettera della legge da cui trae ragione il finanziamento del Civis. Si tratta della legge 211 del '92, intitolata "Interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa", che all'articolo 1, definendo l'ambito dei progetti finanziabili, parla di "installazione di sistemi di trasporto rapido di massa a guida vincolata in sede propria e di tramvie veloci, a contenuto tecnologico innovativo".

Il Civis aveva la guida vincolata con telecamera, e questo era l'elemento tecnologico innovativo che permetteva l'aggancio alla legge. Un normale filobus non è detto che ricada nel finanziamento. E non credo che il rifacimento di asfalti, marciapiedi e lampioni possa avere particolare contenuto innovativo.

Ma anche nell'ipotesi in cui il finanziamento risultasse svincolabile dall'elemento innovativo, e quindi "liberamente spendibile", credo che ci fossero modi diversi e più utili alla città di spendere 182 milioni, soprattutto in una situazione di casse vuote e spesa pubblica bloccata.

Il sospetto, purtroppo, è che ci sia stata una spinta molto forte ad avviare i lavori "per parte edilizia", trascurando o rinviando l'esame approfondito del progetto sul lato tecnico e trasportistico (i dubbi sulla guida ottica c'erano fin dall'inizio).

Ora tocca al People Mover. Che, come ho già scritto, evidenzia preoccupanti analogie con il Civis: la spinta dei costruttori sul Comune per aprire subito i cantieri (l'assegnatario dell'appalto è, guarda caso, lo stesso Consorzio Cooperative Costruzioni); la volontà di evitare un'analisi comparativa seria, affidata a soggetti terzi e neutrali, tra diverse soluzioni di trasporto, e tra costi e ricavi; e infine una penale pendente a carico del comune qualora l'opera non si faccia. Il fatto poi che a rassicurarci sulla tenuta tecnica ed economica del People Mover siano gli stessi uffici tecnici comunali che avevano a suo tempo promosso il Civis non aiuta a stare tranquilli. 

In più negli ultimi giorni ho potuto verificare che la navetta (la P30 della INTAMIN: http://www.intaminworldwide.com ) ha spazi molto piccoli per le persone (avendo al centro un ingombrante vano motore e due cabine guida vuote alle estremità, fatto strano data la tecnologia a guida automatica). Sul sito del costruttore si parla di 40 posti, e tenuto conto delle valigie, è facile che realmente ospiti dai 30 ai 35 passeggeri (ben di meno dei 50 dichiarati nell'ipotesi di sostenibilità economica fatta propria dal Comune). Ma su questo vedremo di fare un approfondimento specifico, per non dilungarmi troppo qui.

Nel frattempo, ritengo opportuna la raccolta di firme che si sta facendo in città per chiedere l'apertura di un'istruttoria pubblica sul People Mover: si tratta di un'occasione di approfondimento che nel caso del Civis è mancata (coi risultati che abbiamo visto), e che invece qui può consentire di fare emergere problemi tecnici ed economici in tempo per porvi rimedio. Un'istruttoria pubblica sarebbe utile anche all'Amministrazione Comunale per poter opporre alla pressione dei costruttori una controspinta civica che restituisca quella serenità di valutazione e quel margine di manovra politica che attualmente è impedito dalle penali frettolosamente (e speriamo inopinatamente) sottoscritte in passato.

2) GENITORI, SPOSATI, MAZZIATI. IL TICKET E LA DISCRIMINAZIONE MADE IN EMILIA ROMAGNA

La manovra finanziaria di agosto ha imposto alle regioni un prelievo aggiuntivo di 10 euro sulle prestazioni sanitarie (diciamo aggiuntivo perché il ticket c'era già). Il presidente della nostra regione, Vasco Errani, ha reagito in un primo momento dichiarando che l'Emilia Romagna non lo avrebbe applicato. Poi dopo qualche giorno la linea cambia: il ticket aggiuntivo verrà applicato, ma "in modo differente" rispetto a quanto chiesto dal governo.

Se la volontà politica di distinguersi dalla destra al governo era comprensibile, il risultato è assolutamente indigeribile. Il criterio di "equità" introdotto dalla nostra regione funziona infatti penalizzando chi ha figli e in particolare le coppie sposate.

In sostanza, secondo le regole messe in campo dalla nostra regione, un single che guadagna 65 mila Euro all'anno è "povero", mentre una famiglia di 5 persone, dove i due coniugi (sposati) sommando i propri redditi, arrivano a 72 mila Euro, è "ricca". Il fatto che il "povero" abbia 65.000 € da spendere per sè, mentre i "ricchi" abbiano 14.400 € a testa, evidentemente non rileva. E l'ingiustizia è moltiplicata dal fatto che, nel secondo caso, ogni membro della famiglia è "ricco", quindi il ticket più alto lo pagano tutti e 5, e ogni volta uno ha bisogno di un farmaco o un esame

Per questo con alcuni amici abbiamo scritto, a metà settembre, la lettera che segue, e che ha raccolto in pochi giorni moltissime adesioni (d'altronde è difficile non sottoscriverla...). 

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SUI TICKET SANITARI URGE UN SEGNALE FORTE VERSO LE FAMIGLIE

Serena è impiegata in un'azienda manifatturiera. Sta facendo la fila in farmacia per comprare le medicine per i suoi bambini - il più piccolo è a casa con la febbre - quando vede nella coda a fianco c'è il suo capoufficio, Giorgio. Al banco Serena prende sei medicine con tre ricette e paga 12 euro di ticket (2 euro a confezione), mentre Giorgio prende una medicina e paga solo 1 euro di ticket. Serena sa di guadagnare 1400 euro al mese, sa anche che Giorgio ne guadagna 3 mila, e si chiede perché mai lei debba pagare un ticket doppio di quello del suo capo. Suo marito Augusto porta a casa poco più di 2 mila euro al mese, ma anche sommando i loro stipendi con i due bambini fanno fatica. Per Giorgio è più facile: è single e senza figli, ha uno stipendio che è due volte  quello di Serena, senza contare le varie agevolazioni aziendali. Ma paga un ticket più basso sulle medicine e anche sugli esami specialistici. Serena ci pensa su e proprio non riesce a capire. Forse avrebbe dovuto fare come la sua collega e pari grado Vanessa, che vive con Franco da tanti anni. Franco guadagna anche più di Giorgio, ma loro due non si sono mai sposati, così quando Vanessa va in farmacia a comprare le medicine, lei il ticket non lo deve nemmeno pagare... (*)

In questi giorni i cittadini dell'Emilia-Romagna stanno compilando l'autodichiarazione sul reddito familiare per l'individuazione della fascia dei ticket sanitari. Ci sono ben chiare le gravissime colpe del Governo Berlusconi per le dimensioni della crisi italiana e la sua gestione attraverso provvedimenti iniqui, pasticciati ed inconcludenti. Ci è ben chiaro che scelte del genere, prese in tempi contingentati, riflettono per inerzia la storica e sedimentata mancanza nel nostro Paese di politiche a sostegno delle famiglie, a cominciare da un adeguato impianto del sistema tributario. Ci sono ben chiari i meriti della Regione Emilia Romagna che ha cercato in tutti i modi di tutelare i propri cittadini e di intervenire con misure anticrisi, spesso supplendo all'inadeguatezza dei provvedimenti nazionali. E buona era l'idea della Regione di introdurre i ticket sanitari con meccanismi volti a graduare il contributo a seconda delle possibilità economiche dei cittadini.

Proprio per questo non riusciamo a comprendere il senso dell'individuazione del reddito familiare lordo complessivo come indicatore di riferimento. Se era troppo complicato partire nei tempi dati dall'applicazione dell'Isee, si sarebbe potuto e dovuto adottare come primo criterio il rapporto fra reddito familiare e componenti della famiglia. Il governatore Errani si è impegnato a modificare in futuro i criteri introducendo l'Isee, ma se vogliamo essere davvero credibili di fronte ai nostri elettori crediamo sia urgente porre rimedio. Per questo chiediamo alla Regione di modificare il provvedimento in tempi brevi con l'introduzione del quoziente familiare, o almeno, se occorrerà del tempo, di prevedere la possibilità di rimborso delle cifre in eccesso che le famiglie numerose saranno inevitabilmente chiamate a versare con l'attuale ingiusta modalità.

Bologna, 16 settembre 2011
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Questa lettera è stata inviata, con una cinquantina di firme (le prime raccolte) all'assessore competente e al presidente Errani. La risposta purtroppo è stata di tipo burocratico.

Ritengo pertanto opportuno riprendere questa lettera e farla circolare (ciascuno nelle sue liste e nei suoi giri) per raccogliere ulteriori adesioni, in modo da ripresentarla a chi ha il potere, e il dovere, di cambiare questa regola.

Per aderire potete lasciare un commento sul sito dove è stata pubblicata, ovvero: http://pdplurale.blogspot.com
oppure inviare a me Nome, Cognome e indirizzo mail (funzionante!) di chi intende aderire.

Potete anche inviare copia della lettera, da voi sottoscritta, all'assessore regionale, all'indirizzo: sanita@regione.emilia-romagna.it

Aggiungo che siamo consapevoli della difficoltà di utilizzare, come criterio di calcolo del ticket, l'ISEE (perché lo fa solo il 16% delle famiglie, perché è complicato e richiede il supporto di patronati, CAF o commercialisti, perché va rinnovato ogni anno). Ma siamo anche consapevoli che nessuna difficoltà si opponeva alla semplice divisione del reddito familiare per numero dei componenti. Ribadisco: 65.000 diviso 1 non può fare di meno di 72.000 diviso 5. 

In proposito mi viene in mente la Newsletter iniviata da Paola Marani, consigliera regionale del PD molto impegnata sui temi dei servizi alla persona, lo scorso 22 giugno 2011.

Dopo il titolo "Garanzie per le unioni civili, non possiamo più aspettare", scriveva infatti: "Nell'ambito delle proprie competenze, la Regione si è concentrata su provvedimenti di pari opportunità, a partire dal riconoscimento della pluralità di forme di convivenza e dal principio di non discriminazione per l'orientamento sessuale... (riguardo) l'accesso ai servizi pubblici". E concludeva con un invito a "estendere a tutto il territorio nazionale alcune basilari garanzie alla persona che, in tema di assistenza sociosanitaria, fruizione dei servizi e successione, metta sullo stesso piano legale chi è sposato e chi decide di unire la propria vita a quella di un altro individuo senza vincolo matrimoniale". Confido che Paola voglia impegnarsi perché anche sui ticket le coppie siano messe sullo stesso piano, in modo da superare rapidamente la discriminazione che penalizza quelle sposate.

3) CATTOLICI IN POLITICA: RISPOSTE CHIARE, LETTURE FUORVIANTI.

Nelle ultime settimane sono uscite varie indagini sull'orientamento dei cattolici in politica, tornato di attualità intorno al convegno che il 17 ottobre ha visto riunite a Todi tutte le associazioni cattoliche - delle più diverse sensibilità e inclinazioni - impegnate nel sociale, cosa che non accadeva da diversi decenni (se mai era accaduta).

Una ricerca condotta da IPSOS per conto delle ACLI e pubblicata il 14 ottobre ha mostrato che se si votasse oggi l'astensione dei cattolici praticanti supererebbe il 48%, segnando un aumento di oltre il 6% rispetto allo scorso febbraio. Minoritari i consensi distribuiti tra centrodestra (21,3%), centrosinistra (24,7%) e centro (6,2%).

Sul Corriere della Sera del 23 ottobre è il sociologo Renato Mannheimer a cimentarsi con il tema, con un sondaggio svolto all'indomani di Todi, dal quale desume che "il 53% dei cattolici non vogliono un loro partito". Il sondaggista cita anche il recente libro di Cartocci "Geografia dell'Italia Cattolica", edito da Il Mulino e presentato alcune settimane fa alle librerie Ambasciatori di Bologna (ero presente), secondo il quale tra militanti (10% della popolazione), assidui (20%) e tiepidi (50%), a cui vanno aggiunti gli atei devoti che manifestano fiducia alla chiesa (altro 10%), quasi il 90% degli italiani mostra un legame con il mondo ecclesiale.

"Ci si può domandare in che misura costoro siano favorevoli a una presenza più organica dei valori cattolici nel dibattito politico", si domanda Mannheimer, e la risposta è per lo più negativa: solo il 5% (7% tra i praticanti) pensa che una maggiore incidenza dei credenti in politica debba esprimersi attraverso una nuova forza politica dichiaratamente cattolica, il 24% (29% tra i praticanti) pensa che la strada giusta sia portare i valori cattolici all'interno dei diversi partiti, un 12-13% indica la via associativa (funzione culturale e critica esterna ai partiti). Inoltre le scelte di voto dei cattolici appaiono distribuite sui vari partiti in modo non molto dissimile da quello degli altri elettori, cosa che fa dire a Michele Serra su Repubblica (l'Amaca, 20 ottobre) che l'essere cattolici è dunque un fatto irrilevante in politica.  

La realtà secondo me è ben diversa. Provo a spiegarmi.

Il quadro che emerge da queste rilevazioni è quello di una marcata laicità dell'elettorato cattolico, non nel senso di indifferenza ai valori cristiani e alle indicazioni della chiesa, ma di maturità politica: un numero crescente di credenti si rende conto che nessuno degli attuali partiti, fortemente screditati, è in grado di offrire "per statuto" rappresentanza e credibilità al mondo cattolico (ecco il 48% di astensioni). Al tempo stesso quell'elettorato insoddisfatto capisce che quello di cui l'Italia ha bisogno non è un ulteriore rappresentanza parziale, corporativa, di un pezzo di società contro altri pezzi (giovani, pensionati, sindacati, industriali, dipendenti, precari, commercianti... e in cattolici in aggiunta). Ecco quindi il 53% contrario ad un partito "dei" cattolici. 

Ma Mannheimer e compagnia traggono una conclusione sbagliata, quando dicono: "ciò suggerisce come l'essere credente abbia relativamente poca influenza sulle decisioni politiche in occasione delle elezioni".

Non è tanto che l'essere credente abbia poca influenza, quanto che l'offerta politica dei partiti attuali aggancia poco i valori di chi è credente, o per distanza conclamata su alcuni temi (che spesso tanto più assurgono a bandiera politica quanto più proposti in chiave anticlericale o anticattolica), o per una scarsa credibilità anche quando tali valori sono elettoralmente sbandierati, e puntualmente disattesi nelle scelte personali e di governo. 

Per dirla con una metafora, è come osservare un buongustaio di vini in un fast food, ed accorgersi che fa scelte di menù del tutto sovrapponibili a quelle di un ragazzo che di vino non sa nulla. Dedurne che in assoluto la passione enogastronomica sia irrilevante al ristorante sarebbe troppo. Il fatto è che tra Coca, Sprite e Fanta, nel fast food non c'è materia per esprimere tale passione. Ma questo non significa che con un diverso menù la differenza non possa emergere.

E il cambio di menù non passa attraverso un partito "dei" cattolici, ma (riprendendo la distinzione di Luigi Sturzo) forse "di" cattolici che agiscono in quanto cittadini (quindi insieme a non cattolici) ispirandosi a valori e pratiche tali da rimettere al centro il bene comune, la giustizia sociale, l'importanza dell'educazione al lavoro, alla fatica, all'intraprendenza e al rischio, il ruolo necessario del pubblico come soggetto ordinatore e non gestore. Un partito che sappia coniugare parole come sobrietà e crescita, solidarietà ed efficienza, equità e responsabilità.  

D'altronde è già su temi laici che i cattolici stanno incalzando la politica: il libro "Il cambiamento demografico", presentato i primi di ottobre a Roma, autori i demografi Blangiardo (Milano Bicocca) e Golini (Roma Sapienza), pubblicato da Laterza, nasce per iniziativa della CEI. Si tratta di uno studio scientifico che documenta (da fonti Istat, Onu e Ocse) quello che il cardinale Bagnasco ha definito il "lento suicidio demografico italiano", frutto di precise scelte politiche, che hanno portato l'Italia ad essere uno dei paesi con la più bassa percentuale di Pil speso per il sostegno alla famiglia.

Lo studio evidenzia come dal 1995 al 2010 ben 120 miliardi di Euro (a valore 2008) sono stati tolti dalle risorse destinate a famiglie e donne lavoratrici, e messi a finanziare il sistema pensionistico, generando una forte "redistribuzione di denaro pubblico dalle generazioni giovani a quelle anziane". Emerge inoltre come nel 2050 avremo un crollo di popolazione in età lavorativa unico al mondo, e come ci sia una relazione biunivoca tra demografia ed economia: non solo la seconda influenza la prima, ma anche viceversa: se è vero che senza lavoro si fanno meno figli, è vero anche che fare meno figli ha risultati negativi sul piano sociale ed economico nel medio periodo (come peraltro già affermato da economisti come Keynes).

Sui temi dell'economia e del lavoro (centrali anche nelle proteste che hanno infiammato le nostre strade nelle scorse settimane) sto raccogliendo materiali e spero di poter a breve produrre qualcosa di più specifico. 

Per ora, data la lunghezza, meglio chiudere qui. Un caro saluto a tutti.

Andrea De Pasquale
www.andreadepasquale.it

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