Andrea De Pasquale

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Il voto regionale tra astensione e Cooptazione. Errori di lettura su Salvini. Un segretario nuovo per il PD bolognese. Bologna e dintorni, novembre - dicembre 2014

Bologna, 15 gennaio 2015

Cari amici,

eccomi alla mia nota periodica sulla politica bolognese. Trovate le precedenti sul mio sito. Rammento che per non ricevere questi messaggi è sufficiente chiedermi la cancellazione da questa lista, mentre se avete amici interessati segnalatemi la loro e-mail.

5 gli argomenti di questa edizione:

1. Il (non) voto regionale: letture divergenti.

2. Astensione, colpa di Renzi?

3. I risultati del voto, e una Giunta decisamente “Cooptata”

4. Salvini e i Rom: sicuri che sia razzismo?

5. Quale nuovo segretario dopo Donini?

(Vedi anche facebook.com/andrea.depasquale e twitter.com/depa65)

 

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1. Il (non) voto regionale: letture divergenti.

Lo scorso 23 novembre, alle elezioni per il rinnovo del consiglio regionale e l’elezione del presidente, su 3.460.402 elettori hanno votato in 1.304.841, pari al 37,70% degli aventi diritto. Alla tornata precedente (nel 2010) la percentuale dei votanti era stata del 68 % (quasi il doppio).

Sulle ragioni dell’astensione (efficacemente definita da Roberto Balzani “sciopero elettorale”) si è subito scatenata la battaglia politica. La sinistra locale, che vive Renzi come una disgrazia temporanea, ha prontamente spiegato che il mancato voto è un segno di protesta contro il governo (d’altronde la CGIL aveva di fatto evitato di fare campagna per il voto: cercando su Google “elezioni regionali appello al voto cgil” escono soprattutto documenti del 2010; e Repubblica per un mese ha profetizzato un’astensione record, facendone un ritornello quotidiano). Altri hanno ragionevolmente individuato nelle inchieste e negli scandali sulle spese pazze in Regione un forte elemento di demotivazione e rigetto.

La lettura “antigovernativa” del voto tiene poco, a mio giudizio, per due ragioni. La prima è che se così fosse, l’astensione avrebbe dovuto colpire soprattutto il PD, premiando indirettamente formazioni che a Roma stanno all’opposizione. Ma questo non è avvenuto, anzi: con l’eccezione della Lega (di cui parleremo dopo), i partiti antigovernativi si indeboliscono. La seconda ragione sta nelle ricerche condotte dall’Istituto Cattaneo e dal sociologo Vittorio Martinelli, che, pur registrando una componente di insoddisfazione verso il governo, riconducono entrambe il comportamento elettorale a disaffezione e sfiducia verso i partiti, con in più una interessante divergenza – colta nelle interviste di Martinelli – tra i motivi dell’astensione immaginati da chi ha votato, e spiegati da chi non ha votato.

Scrive il Cattaneo (vedi sul suo sito web): “…A far esplodere la disaffezione in Emilia-Romagna ha contribuito sicuramente un insieme di fattori contingenti. Il primo, forse il più importante, è riconducibile all’alone prodotto dagli scandali che hanno coinvolto i consiglieri regionali di tutti i partiti. Indipendentemente dalla reale portata e consistenza di tali episodi, è plausibile che tale effetto negativo sia stato amplificato dal clima generalizzato di sfiducia nei partiti. A ciò si sono aggiunte, con riferimento all’elettorato di centro-sinistra, le polemiche innescate dal braccio di ferro tra il premier Renzi e la Cgil, polemiche che potrebbero avere creato una situazione di conflitto interiore nell’elettorato più sindacalizzato, producendo una paralisi rispetto alla decisione di voto”.

Nell’analisi di Martinelli (che trovate pubblicata sul sito del PD di Bologna) troviamo che chi ha votato pensa che i motivi dell’astensione siano per il 39% legati alla sfiducia nella politica conseguente alle vicende giudiziarie, e al 25% alla protesta contro Renzi per la sua politica (e la rottura con il sindacato). Chi non ha votato invece dice che la sfiducia legata conseguente alle vicende giudiziarie pesa per il 55 %, mentre la contestazione a Renzi per il 18%.

In sostanza, chi vota tende maggiormente a “politicizzare” l’astensione, che invece, sentendo i diretti interessati (politicamente più disimpegnati e forse cinici) risulta motivata dalla pessima figura dei politici regionali che da un giudizio sul governo centrale.

C’è chi liquida queste ragioni come “qualunquiste” e non degne di riflessione, perché “non abbastanza politiche”. A mio giudizio invece sono ragioni solide e “pre-politiche”, che in parte condivido: l’impressione che la politica continui ad essere per molti, in tutti i partiti, primariamente una sistemazione personale, una opportunità di carriera alternativa al lavoro, una occasione per disporre di denaro e potere, è innegabile.

Nonostante l’ascesa di Beppe Grillo e la parabola del M5S, e nonostante gli intenti di moralizzazione espressi da tutti gli attori politici, la situazione emersa in Emilia Romagna (ma peggio ancora nelle altre regioni: se vi fate un giro su web vi accorgete come il problema sia nazionale) rende purtroppo attuale quanto scrivevo nel 2007

 

2. Astensione, colpa di Renzi?

In aggiunta a questo osservo anche che, almeno a Bologna, una buona parte del partito – apparato, fortemente ostile a Renzi nella sua “pancia”, ha scelto la campagna elettorale regionale come occasione per un regolamento di conti interno, contro il governo e contro il proprio segretario nazionale. Fior di candidati nella lista guidata dal candidato presidente (il “renziano” Stefano Bonaccini), sono scesi in piazza contro il Governo guidato da Renzi, e nei circoli hanno fatto (o spalleggiato) interventi demolitori contro il premier nonché segretario.

Questo ha quantomeno confuso molti elettori e pure molti simpatizzanti, soprattutto in quella fascia intermedia che annovera persone interessate alla politica ma non al punto da essere militanti di questa o di quella componente interna (Renzi, Cuperlo, Civati, De Maria, Caronna, ecc.).

Come ha confuso la tesi, serpeggiata tra alcuni dirigenti, ed esplicitata ad esempio da Fausto Anderlini nell’intervento al Circolo San Ruffillo (https://www.youtube.com/watch?v=CZJ-swL3aUk), per cui, rispetto allo scandalo delle spese in Regione, “se un magistrato viene a casa tua, qualcosa di storto lo trova sempre”. Era la tesi – magari non del tutto infondata – di Silvio Berlusconi, che però noi rigettavamo, spiegando che a lui facevano le pulci perché era disonesto e corrotto, mentre noi, cittadini e politici onesti e specchiati, non avevamo mai paura delle indagini. E invece, ora che tocca anche a noi… La classica “doppia morale”, insomma.

Concludo questo capitolo con la citazione di uno scritto di Roberto Fattori, presidente del quartiere Saragozza, che per spiegare l’astensione ripercorre rapidamente la recente storia politica di Bologna.

Nel gennaio 2010 il Sindaco di Bologna, Flavio Delbono, si dimette per avere usato soldi della Regione Emilia Romagna per spese personali. Colpa di Renzi? Si chiese allora a Cevenini di fare il capolista alle Regionali, per una “riconnessione sentimentale con la città di Bologna”, e il centrosinistra rivince in Regione. A metà mandato, emerge tra i consiglieri regionali la vicenda di Monari, con rimborsi per spese oggettivamente esorbitanti. Monari non è un consigliere tra i tanti, è il capogruppo che il PD ha scelto, dovrebbe dare la linea, essere di esempio. Colpa di Renzi? In seguito, ulteriori indagini sulla regolarità delle spese dei consiglieri, con la Finanza che entra ed esce. Nel 2014, dimissioni del presidente Errani per condanna in secondo grado, con conseguente voto anticipato in autunno. Colpa di Renzi? A dieci giorni dal voto, iscrizione registro indagati di quasi tutti i consiglieri regionali, appartenenti a tutti i gruppi consiliari. Viene pubblicato l'elenco delle spese, si conferma che ciascuno fa quello che gli pare, e anche che quando si mangia fuori e si è rimborsati, la prassi non è certo quella di andare alla trattoria casalinga. Colpa di Renzi?

 

3. I risultati del voto, e una Giunta decisamente “Cooptata”

Il voto comunque premia il PD, che rispetto alla tornata precedente aumenta il numero dei consiglieri (ora sono 30 su 50), tra i quali, nel collegio di Bologna vengono eletti la capolista Simonetta Saliera, e dietro di lei Giuseppe Paruolo (un ottimo risultato per il candidato che ho sostenuto), Stefano Caliandro, gli imolesi Francesca Marchetti e Roberto Poli, e infine Antonio Mumolo.

La prima cosa che balza all’occhio, analizzando il risultato, è la sovra-rappresentanza di Imola tra gli eletti in consiglio: con solo il 10% degli abitanti del collegio elettorale corrispondente alla provincia di Bologna, Imola e circondario ottengono 2 consiglieri regionali, ovvero il 33% degli eletti PD. Tutti gli altri territori, ovvero il 90% degli abitanti, ne ottengono 4. Le scelte del segretario di Bologna Raffaele Donini (ora felicemente approdato all’ambito soglio di assessore regionale) hanno in sostanza attribuito ad ogni imolese una rappresentanza 5 volte superiore al resto dei cittadini bolognesi. E questo dopo aver messo ai voti, nella Direzione del PD di Bologna, una lista di 10 candidati bolognesi e 1 imolese, lista che poi nelle segrete stanze è stata amputata a 9 per fare spazio a 2 imolesi, contro ogni logica di equità territoriale e di proporzionalità tra democrazia e demografia. Di questa conduzione discutibile il partito di Bologna dovrebbe chiedere conto. Ma nessuno ne ha parlato, chissà perché…

Al contrario, la tendenza a mettere Bologna nelle mani di Imola è proseguita con la formazione della Giunta Metropolitana, dove a Daniele Manca, sindaco di Imola, oltre alle deleghe a Sviluppo economico e sociale, Politiche del lavoro e Semplificazione, è stato affidato in questi giorni il ruolo di Vice Sindaco Metropolitano, che sostituirà Virginio Merola, sindaco di Bologna, ogni qual volta questo sarà impegnato altrove oppure si troverà in conflitto di interessi: cosa che avverrà ogni qualvolta la Giunta Metropolitana (che deve garantire “terzietà”) dovrà prendere decisioni sul Comune di Bologna, decisioni che saranno appunto nelle mani di Manca, proseguendo nella tradizione – che ebbi modo di riscontrare durante il mio lontano mandato in Provincia – di una certa sudditanza politica di Bologna rispetto ad Imola.

Ma torniamo alla regione, per vederne la Giunta. Dove tra i 10 assessori nominati (o meglio cooptati) spicca Elisabetta Gualmini (scelta coraggiosa da parte di Bonaccini, vista la sua personalità piuttosto indipendente) e per il resto una forte presenza di Legacoop. A cui sono direttamente legate due assessore (Emma Petitti e Simona Caselli), e alla quale si rivolge con intento rassicurante il nostro Donini, neo assessore ai Trasporti, il quale prontamente afferma, il giorno stesso della nomina, che si impegnerà per portare avanti Passante autostradale e People Mover, definite “opere decise da tempo” (e qui fioccano le solite domande: quando esattamente? In quale sede? E da chi?)

D’altronde in consiglio regionale, tra gli eletti di Bologna siede già Roberto Poli, dipendente della Coop Terremerse (quella di Giovanni, fratello di Vasco Errani), e nella giunta bolognese siede già Matteo Lepore, lui pure dirigente di Legacoop, a cui è appena ritornato come direttore Simone Gamberini, fino a ieri potente responsabile Enti Locali del PD, e sindaco di Casalecchio. E potrei continuare per un pezzo, tra dirigenti provinciali e segretari di quartiere, consiglieri, assessori e sindaci, che tra assunzioni, consulenze e distacchi attraversano quotidianamente il confine tra partito, istituzione ed economia politicamente assistita, intessendo un intreccio di relazioni da un lato solide e “affidabili”, dall’altro candide ed innocenti, non sfiorando l’anima di nessuno il dubbio sul potenziale conflitto di interessi.

L’impressione, in sostanza, è che siamo al terzo tempo del “collateralismo” tra Politica ed Economia in Emilia. Il primo fu quello del Partito che decideva, e delle Aziende (Cooperative o Partecipate) che facevano da “attuatori”, operando come sue cinghie di trasmissione. Il secondo è stato (e in parte è tutt’ora) l’inversione dei ruoli rispetto al primo, ovvero: i decisori sono le Aziende, e il Partito (o le Istituzioni) fanno da loro cinghia di trasmissione, attuando in tante materie (sui rifiuti, sulla pianificazione, sulle infrastrutture, ecc.) politiche fortemente influenzate dagli interessi delle Aziende di cui sopra. Il terzo tempo presenta una novità, rispetto ai primi due, dove almeno formalmente il collateralismo richiedeva distinzione dei ruoli: ora i centri decisionali dell’economia “politicamente assistita” non si fidano più del partito nemmeno come attuatore, e cercano di rappresentarsi direttamente nelle istituzioni, sollecitando (e ottenendo, a quanto pare) posizioni loro riservate direttamente in sala macchine, nelle stanze dei bottoni, che siano consigli o giunte. E intervenendo direttamente nel dibattito pubblico come portatori di posizioni autonome (vedi le vicende di questi giorni di San Lazzaro, del People Mover e del Passante, dove ad ogni dichiarazione d’intenti della politica si alza chiara e forte la voce di Legacoop o di una Cooperativa federata, in contraddittorio con l’Amministrazione, e nell’imbarazzo del Partito).

Una situazione di cui bisogna essere consapevoli, se si vuole preservare (o ritrovare) l’autonomia della politica. Che deve certamente relazionarsi, e in modo collaborativo, con questi attori (che nel loro campo rappresentano anche autentiche eccellenze, dal punto di vista industriale), ma nella trasparenza e senza soggezione.

 

4. Salvini e i Rom: sicuri che sia razzismo?

Sabato 8 novembre il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, viene aggredito mentre in auto tenta di avvicinarsi a un campo rom nella periferia di Bologna. Qualche decina di anarchici ed esponenti dei centri sociali circondano l’auto e sfondano con i caschi il lunotto posteriore. Nell’occasione viene preso di mira anche un giornalista del Carlino, Enrico Barbetti, circondato, insultato e preso a calci.

Ora, io credo di non essere d’accordo praticamente su nulla di quanto dice Salvini, e nemmeno nel modo in cui lo dice. Tuttavia mi piacerebbe conservare un minimo di obiettività e di senso delle proporzioni, davanti ai fatti. Cosa che in questo caso il PD ha fatto, condannando l’episodio (Salvini è pur sempre un deputato europeo, credo abbia il diritto di muoversi sul territorio nazionale, anche per fare cose che non condivido), e che invece la sinistra bolognese non ha saputo fare.

Alcuni infatti si sono addirittura rammaricati che a impedire la “visita” di Salvini ci siano stati solo pochi attivisti, e non l’intera città o quanto meno la sua componente democratica e progressista: Mirco Pieralisi ad esempio, consigliere di SEL, ha - nel suo intervento in Comune - definito il gesto di Salvini “provocazione di stampo tipicamente razzista e discriminatorio” e il comportamento degli antagonisti “giusta indignazione antirazzista”, aggiungendo “per favore, non lamentiamoci di chi è andato a manifestare la sua collera”.

Anche grazie a queste reazioni Salvini, che ha cercato l’incidente (omettendo persino di avvertire le forze dell’ordine sui propri spostamenti), è riuscito pienamente nel suo intento, di “sfondare” su tutti i media e soprattutto di legittimarsi presso molti elettori, non necessariamente di destra, e niente affatto razzisti.

Lo dico avendo fatto una mia piccola indagine sull’episodio, che mi ha confermato come la politica nel suo insieme (anche quella che ha condannato l’episodio, anche quella più moderata) ha completamente sbagliato a mettere a fuoco il fatto, a cogliere la posta in gioco in questa esibizione insieme vittimista e accusatoria.

Mentre infatti tutti hanno stigmatizzato il movente razzista e xenofobo di Salvini, il messaggio di questa azione dimostrativa era tutto rivolto ad altro, ovvero a contestare l’iniquità e la scarsa efficacia della cosiddetta “spesa sociale” applicata ai campi nomadi. “A questi signori paghiamo luce, acqua e gas. E' ora di finirla. Il campo va chiuso e quelle risorse spese per la nostra gente", ha dichiarato Salvini. Toccando non la xenofobia, ma il portafogli, area molto sensibile per cittadini di tutte le convinzioni politiche, che si trovano a fare i conti con minori disponibilità tasse sempre in aumento, ed hanno l’impressione di essere abbandonati dalle pubbliche istituzioni.

E’ questa una linea che la Lega persegue da tempo, con la polemica sulle occupazioni delle case (“ci sono legittimi proprietari prigionieri in casa per timore di trovarsi l’appartamento occupato”), con quella sul mancato pagamento dei biglietti sugli autobus, ecc. E che, il giorno delle elezioni, ha premiato. Opporsi sul piano della xenofobia mi sembra fuori bersaglio: come dicevo, ho chiesto ad alcuni conoscenti immigrati che vivono a Bologna da tempo (e che lavorano, gestiscono negozi, hanno famiglia e faticano a pagare affitti e bollette) cosa pensassero di Salvini, e con mia sorpresa mi hanno detto: “è esagerato, ma su alcune cose ha ragione: ai Rom il comune paga un sacco di cose, e noi che lavoriamo e siamo onesti ci dobbiamo pagare tutto”.

Per questo rispondere a Salvini stigmatizzando la natura razzista della sua battaglia mi pare una scelta di comodo, e alla lunga perdente.

 

5. Quale nuovo segretario dopo Donini?

Una nota conclusiva sulla vita interna al PD. Le imminenti dimissioni del segretario provinciale del PD Raffaele Donini (promosso in giunta regionale) impongono l’elezione di un successore. Gli aspiranti sembrano essere Francesco Critelli, capogruppo PD in Comune, e Marco Lombardo, vicesegretario di Donini (il quale a sua volta subentrò a De Maria dopo esserne stato il vice, in una sorta di continuità ereditaria tipica del PD locale di questi anni).

Pur conoscendo entrambi come persone affabili e preparate, non mi sembrano tuttavia tipi capaci di prendere in mano la situazione con una forte spinta al cambiamento. Né di rovesciare una tradizione storica che, negli ultimi anni, ha un po’ svilito il partito, con segretari che sono sembrati lavorare più al futuro proprio (da deputato De Maria, da assessore regionale Donini) che a quello del partito, alla sua salute, alla sua capacità di far contare la partecipazione della base portandola a influire sulle decisioni dei vertici. (Perché, ricordiamocelo, un partito dovrebbe essere primariamente, secondo la Costituzione, un modo consentire ai cittadini di concorrere alla determinazione della politica).

Per questo ho salutato con grande soddisfazione e speranza la notizia, proprio di queste ore, che per la corsa a segretario è disponibile anche Dario Mantovani, giovane sindaco di Molinella (32 anni), di professione operaio in fabbrica, di esperienza politica consigliere comunale di opposizione (da 10 anni il PD era minoranza in quel Comune), che dopo aver vinto il congresso locale ereditando un PD rassegnato e demotivato, lo ha preso in mano, ha saputo coinvogere vecchi e nuovi volontari, ha riaperto il circolo (tutti i giorni, in orari frequentabili da chi lavora) e rivitalizzato la Festa dell’Unità locale, fino alle vittoria delle ultime elezioni amministrative, dove il PD è passato dal 24 al 55%, ritornando con lui alla guida del Comune. (Tra parentesi, a Molinella il tesseramento è in crescita di un +6%, a fronte di un -30% a livello provinciale).

Dario è una persona pulita, limpida, e soprattutto libera. Che ha una storia da raccontare e una credibilità fondata sulle cose fatte. Che fa politica senza dipendere dalla politica. Che vive e lavora in provincia, e può quindi rappresentare meglio di altri lo spirito “metropolitano”, che esige dal PD (e alla sua dirigenza) una maggiore capacità di uscire dalle mura di Bologna per farsi carico di tutto il territorio, anche quello più periferico.

In bocca al lupo Dario, puoi contare sul mio pieno sostegno.

Ci sono molte altre cose su cui sarebbe bene aggiornarci: dal caso San Lazzaro alla riforma dei Quartieri, dai limiti della neonata Città Metropolitana ai nuovi contorcimenti sul Passante Nord. Ma sono già stato lungo, ed è molto tardi. Spero di non metterci altri 2 mesi a scrivervi, in modo da fare un punto più frequente, e meno lungo. Ma, come capite, lavorando di giorno e facendo politica di sera e nel tempo libero, si fa quel che si può…

Un saluto a tutti, e alla prossima.

Andrea De Pasquale

www.andreadepasquale.it

 

 

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