Andrea De Pasquale

L'introduzione

(trascritta artigianalmente da una registrazione)

Sergio Caserta


Come pubblici amministratori abbiamo più volte occasione di confrontarci su temi concreti dell’agire quotidiano, del governo del territorio, e sulle difficoltà che ci sono per risolvere al meglio le questioni che di volta in volta si trovano davanti a noi. Nello stesso tempo l’esperienza ci pone davanti anche ad interrogativi più grandi, soprattutto considerando le forti trasformazioni intorno a noi, l’acuirsi di problemi di carattere sociale, e anche ideale, che riguardano le condizioni materiali di vita delle persone, la qualità dell’ambiente.

Ecco allora questo dialogo, il fatto di andare un po’ al fondo delle ragioni di queste difficoltà: ed essendo io e Andrea due persone che hanno provenienze culturali diverse, cattolica e laica, viene la domanda di come possano queste due culture, in questa situazione così difficile, confrontarsi per produrre risultati più soddisfacenti, un cambiamento positivo.  Ovviamente sono domande che trascendono gli argomenti di cui si parla: ma abbiamo pensato ad un confronto tra due personalità autorevoli nel loro campo, vista la necessità di affrontare i tanti problemi che la politica ha davanti, e che riguardano i diritti, la ricerca scientifica, la stessa concezione della vita e della morte. Queste domande, che sono alla base del confronto, ovviamente richiedono la messa in discussione dei propri punti di vista.

Il nostro paese proviene da un’esperienza in cui la forte componente cattolica ha agito insieme a quella laica, in tutte le sue espressioni, anche quella marxista, in un confronto che ha consentito un progresso, e che oggi sembra diventato difficile, dato che sembra che i radicalismi e i fondamentalismi prendano il sopravvento, a partire dallo scenario internazionale. Non mi dilungo e dò la parola ad Andrea.

Andrea De Pasquale


Innanzitutto grazie, sembrava non ci fosse nessuno, ora siamo una settantina… visto il tema non è poco! Grazie davvero, vedo tra voi vari amici, alcuni genuini mangiapreti, altri genuini credenti… mi fa veramente piacere… vediamo un po’ cosa succederà.

In conferenza stampa sabato mattina, quando abbiamo cercato di presentare alla stampa l’iniziativa di stasera, Sergio ha usato un’espressione che ripeto qui: “ci piacerebbe provare a sostituire l’urlo con il ragionamento”. Detto questo, i giornalisti hanno chiuso i taccuini, perché erano interessati invece alle polemiche del giorno.

Io vorrei semplicemente raccontare come è nata questa iniziativa dal mio punto di vista: vivo una doppia insoddisfazione, una doppia sofferenza, per quello che è lo scontro in atto sui media tra visione cosiddetta cattolica e visione cosiddetta laica. Una doppia ferita perché non mi sento a casa né come credente, quale io sono, né come laico, e comincio con alcune domande a cui, se vorranno, potranno rispondere i nostri relatori.

Noi possiamo intendere la laicità come totale assenza di valori fondativi nell’agire pubblico? Io rispondo personalmente di no. Ma al contempo possiamo considerare la fede un fondamento unico ed esclusivo per un’etica comune? Anche su questo io rispondo di no, ci può essere un cammino di ricerca di un’etica condivisa fatto al di fuori della fede.

Su questo vorrei raccontare una mia esperienza. Quando mi sono laureato, ormai sono parecchi anni fa, ero a giurisprudenza, cercai di fare una tesi su diritto a punire – qui c’è anche Libero Mancuso, che su questo ha certamente riflettuto, da professionista, per molti anni – e mi accorsi che nonostante alcune posizione teoriche che allora andavano per la maggiore, secondo le quali il diritto era solo una convenzione, come il semaforo rosso o verde, non implicava valori, andando a fondo però dei motivi per cui si metteva in galera una persona, questa posizione non teneva. E peggio ancora, quando la mia tesi poi andava a parlare di quella che era la funzione rieducativa della pena, cioè quando ti domandavi perché andavi a infliggere sofferenza ad una persona legalmente, e soprattutto a che cosa doveva tendere questa sofferenza inflitta legalmente, ti accorgevi che era difficile – mi fermo a dire difficile – immaginare che una convivenza civile, una comunità potesse reggersi su semplici convenzioni, completamente a prescindere da un substrato etico, completamente sganciata da dei valori.

Quindi è un po’ su questo che mi piacerebbe riuscire a ragionare con i nostri ospiti questa sera. Cioè da un lato vorrei un passo indietro della mia parte, cioè quella cattolica, che sembra voler mettere il cappello su qualunque cosa abbia a che fare con l’etica e con la morale, e dall’altra però la serena considerazione, anche da parte dei non credenti, che certi temi etici ci stanno davanti in quanto uomini, non in quanto fedeli o infedeli.

Voglio aprire e chiudere una piccola parentesi, sempre sui miei ricordi di tesi. Io pensavo di farla in 6 mesi e ci ho messo quasi un anno, certamente perché sono pigro, ma anche perché trovai un tesoro incredibile nell’andare alla radice di questo principio rieducativo, che è nella Costituzione. Trovai un tesoro incredibile negli atti, cioè nel dibattito, della Costituente.

Cominciai convinto di leggerne 3 o 4 paginette per citarle, poi non finii più, ero tutti i giorni all’istituto giuridico e per delle settimane e settimane andavo avanti a leggere, non scrivevo nulla, ma leggevo e sono arrivato a centinaia di pagine. E vi voglio veramente dire che è quasi commovente rileggere oggi qual’era il livello di quel dibattito, perché - vedete - non penso che fosse gente che avesse studiato più di noi, però la passione di queste tre grandi componenti (cattolica, liberale, socialista/marxista) era quella di provare a dire le proprie ragioni al di fuori del linguaggio e del lessico di provenienza, ma per rendere l’altro consapevole dei fondamenti buoni anche per lui. E questo sforzo di cercare un linguaggio il più possibile vicino a quello dell’interlocutore, a me veramente colpì, e fu per questo che ci passai settimane sopra. Ed è quello che vedo assolutamente mancare oggi, questo sforzo, da tutte le parti. E dico questo serenamente, senza voler fare quello che per forza deve dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte.

Quindi, molto rapidamente, non credo che la laicità possa essere declinata come un semplice “ognuno fa quel che vuole”: lo dico anche per il modesto impegno che ho come amministratore, dove mi occupo di urbanistica. Quando noi andiamo a dire che in sostanza che uno sul suo suolo, sulla sua proprietà non può far quel che gli pare, perché deve rispondere comunque a un equilibrio, a un’armonia del territorio (e parlo solo di urbanistica), in qualche modo andiamo ad introdurre un elemento ulteriore rispetto alla libertà di ciascuno di fare quel che vuole. Ma introduce se volete un vincolo comunitario che però riteniamo importante.

Ecco allora credo che facendo esempi di questo genere ci sia consentito di affrontare l’argomento con la possibilità di intenderci, di dialogare.

Finisco con due osservazioni. Una tratta sempre da un’esperienza di vita: io vi dicevo ho fatto legge e in università come sempre la discussione, anche tra cattolici e non cattolici, era molto forte. Però quando mi capitò poi di fare servizio civile, mi accorsi che tantissime delle questioni su cui ci si accapigliava in università (diciamo così: appoggiati i giornali sul tavolo, e prese in mano delle situazioni reali di bisogno e di sofferenza: io ero con la Caritas nella psichiatria, però ci trovavamo con tutti gli altri obiettori che a Bologna avevano a che fare con dei drammi umani di vario genere) venivano superate. Mi accorgevo che nonostante fossimo obiettori delle più varie provenienze (non eravamo mica tutti cattolici…), però davanti al bisogno concreto della persona la capacità di lavorare insieme e di trovare anche motivazioni concettuali, teoriche del nostro andare assieme era molto, molto più grande di quella che era possibile trovare in università, dove effettivamente il dato ideologico prevaleva su tutto.

A me piacerebbe anche che, poiché siamo davanti – l’ha detto Sergio all’inizio – a problemi che ci rendono oggettivamente equipaggio della stessa barca, davanti ai quali siamo oggettivamente corresponsabili, che sapessimo trovare, nel dibattito che ci vede impegnati, un po’ di quella capacità di voler rispondere ai problemi, di cercare – la dico così – di utilizzare la politica per diminuire, ove possibile, le sofferenze degli essere umani.
E’ quindi in questo che credenti e agnostici – io uso più volentieri questa espressione, piuttosto che cattolici e laici, perché laico sono anch’io – credo che siamo, per usare un’immagine che ricordo di Wim Wenders, nella scena conclusiva de “Il Cielo sopra Berlino”, “...siamo tutti sulla stessa barca”, e l’ha citata recentemente anche Cacciari, in un dibattito qui a Bologna su all’Osservanza, dove parlava dell’etica della responsabilità come necessità di percepirsi tutti sulla stessa nave, in cui si risponde ciascuno anche degli altri.

Io con questo intento darei il “la” a questa serata. Però siccome mi piace sempre anche sorridere sulle cose, e non vorrei essere sembrato troppo serioso con questi concetti, visto che ricorre tra qualche settimana il 40° anniversario della morte di don Lorenzo Milani, altra persona che non ho conosciuto per ragioni di età ma che ha contribuito tanto alla mia formazione, chiudo con una citazione da una sua lettera. Siamo nel ’51, agli inizi della Scuola Popolare Serale, ancora a San Donato a Calenzano, non ancora a Barbiana, e don Lorenzo scrive così all’amico Gian Paolo Meucci, descrivendo la sua scuola:
... il più piccolo ha 15 anni o 16, il più vecchio ne ha 25, gli altri sono tutti intorno ai 19. Son tutti operai o contadini, son iscritti a partiti o sindacati vari. Alcuni vengono completamente dall’altra sponda, altri vengono dall’altra ancora. Alcuni vivono in grazia di Dio, altri vivono in grazia di Satana, altri servono due padroni. Di comune hanno poco (neanche l’amicizia tra tutti), fuorché un bel progresso che han fatto nel cercare di rispettare la persona dell’avversario, di capire che il male e il bene non sono tutti da una parte, che non bisogna mai credere né ai comunisti né ai preti...
Mi sembra un ottimo modo per dare la parola ai nostri relatori, un prete e un comunista. Prego.

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