Andrea De Pasquale

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PD e riforma della giustizia

Giustizia: riformare o indebolire?


Gennaio 2009

Sul tema divenuto ormai straripante nella cronaca politica, ovvero la riforma della giustizia, parto dalla fine. Ovvero dalla domanda di Elvio Fassone, parlamentare PD: "Bene gli appelli al dialogo, ma occorre chiedersi se l'obiettivo di Berlusconi sia l'efficienza della giustizia e la riduzione dei tempi processuali o piuttosto la riduzione del controllo di legalità sulla politica e sugli affari pubblici". Questo è il punto centrale, cari amici: lo spirito con cui la maggioranza politica nazionale sta proponendo il tema giustizia, a partire dai limiti alle intercettazioni e dalla composizione del Consiglio Superiore della Magistratura, e a cui parte del PD sembra disposta (o felice) di accodarsi in nome del dialogo, a quali scopi risponde? Quali conseguenze materiali produce nel funzionamento ordinario dei tribunali? Aumenta o diminuisce la possibilità di scoprire e perseguire i reati, quindi di tutelare i cittadini?

Purtroppo ho visto emergere nelle ultime settimane una grave debolezza culturale da parte di troppi esponenti nazionali del PD, non so se più ignari o ignavi, rispetto al controllo di legalità e al funzionamento della macchina giudiziaria. Mi limito a poche citazioni, ma gli spunti sono quotidiani, basta leggere i giornali.

Primo episodio. Lo scorso novembre il parlamento di Strasburgo nega l'utilizzo in sede giudiziaria delle intercettazioni di Massimo D'Alema sull'affare Unipol. Proviamo a pensare cosa avremmo detto e scritto se il beneficiario della decisione fosse stato Silvio Berlusconi. Invece, siccome il politico salvato dalle indagini grazie al ricorso all'immunità è un leader del PD, la cosa è passata in silenzio, tra i sorrisi interessati dei parlamentari del centrodestra, in prima fila sul fronte del "garantismo" e comprensibilmente soddisfatti del "giro di vento" in atto tra i colleghi dell'opposizione. Così il primo atto del "dialogo" sulla giustizia lo possiamo datare 18 novembre, data in cui l'Europarlamento respinge la richiesta della procura di Milano di poter utilizzare i colloqui telefonici tra D'Alema e Consorte sulla scalata di Unipol a BNL, con 543 voti a favore, 43 contrari e 90 astenuti, e soprattutto con la regia del berlusconiano Giuseppe Gargani, che ha condotto la partita prima in Commissione e poi in aula, intuendo le interessanti ricadute italiane di questo mutato e mutevole orientamento del maggior partito di opposizione sui temi della giustizia.

A seguire i casi D'Alfonso, Margiotta, giunta di Napoli e altri ancora, che rendono pubbliche una serie di "scoperte", da parte di molti dirigenti PD, degne della miglior Vispa Teresa: che stare sotto inchiesta è una esperienza sgradevole, che è più rassicurante autotutelarsi con l'immunità piuttosto che sottoporsi ad esami invasivi, che un atto giudiziario può effettivamente influenzare le partite politiche e gli andamenti amministrativi.

E via dunque alle interviste di sindaci, deputati e senatori targati PD ma evidentemente sbarcati da Marte, nelle quali si legge, ad esempio, la totale confusione tra custodia cautelare (il carcere per impedire agli indagati di inquinare le prove) e la condanna (il carcere come pena), laddove i nostri eletti dichiarano con gravità che un magistrato non può arrestare un sindaco e poi rilasciarlo dopo 10 giorni: o sbaglia prima, o sbaglia dopo. E se invece il magistrato avesse semplicemente acquisito elementi sufficienti a comporre un quadro probatorio?

Fino ad arrivare a Mancino, alla proposta di mettere in minoranza i magistrati nel loro organo di autogoverno (il Consiglio Superiore della Magistratura), e di dismettere le intercettazioni come fonte per smascherare reati e accordi illeciti. Per pura bontà parlamentare, forse potremo ancora utilizzarle per reati di mafia, terrorismo e corruzione. Peccato che molti altri crimini, orrendi e attuali, come gli stupri di gruppo o il caso del clochard ridotto a torcia umana da giovani annoiati in cerca di emozioni, siano stati risolti proprio grazie alle intercettazioni. Ma chi se ne importa? La parola d'ordine oggi è "non seguire Di Pietro".

E che importa quindi se è falsa la premessa base a tutti i discorsi di Berlusconi sulla giustizia, ovvero che alla fine di tutte le inchieste lui è stato riconosciuto innocente? Berlusconi, l'ho già detto e ripetuto, è stato invece riconosciuto colpevole e condannato fino al terzo grado di giudizio per svariati reati di ambito corruttivo, ma ha evitato il carcere grazie all'effetto combinato di prescrizioni abbreviate, possibili ricusazioni e nuove incompatibilità tra magistrati (frutto di "riforme" introdotte da un parlamento guidato dai suoi avvocati, eroicamente garantisti, anche a costo di paralizzare i tribunali e mandare in vacca i processi). Ma il famoso "dialogo" oggi ci impone di soprassedere su questi dettagli, e di esercitarci anche noi nell'arte di garantire i garantiti, ovvero gli imputati di rango, con proposte alla Tenaglia (mettere 3 magistrati dove oggi ne basta uno, in un quadro nel quale a stento si trova quell'uno, mancando la copertura degli organici). E pazienza per le vittime dei reati, ovvero le migliaia di cittadini e di imprese danneggiati dal malaffare e dagli abusi, che la giustizia dovrebbe tutelare, e in nome dei quali si giustifica un diritto penale. Per questa strada, di progressivo svuotamento e indebolimento del contrasto al crimine, non meravigliamoci poi se un numero sempre maggiore di persone penserà a farsi giustizia da sè.
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