Andrea De Pasquale

Bologna e dintorni, maggio 2011

Cari amici,

eccomi alla nota periodica sugli avvenimenti politici di Bologna e dintorni del mese di maggio. Trovate le precedenti sul mio sito. Rammento che per non ricevere questi messaggi è sufficiente chiedermi la cancellazione da questa lista, mentre se avete amici interessati segnalatemi la loro e-mail.

Questi gli argomenti del mese:

1) SEPOLTI IN MARE. I VALORI OCCIDENTALI INSIEME A BIN LADEN.

2) ELEZIONI A BOLOGNA. NUMERI, RIFLESSIONI E CONFERME.

3) POLITICA E LAVORO. SEPARAZIONE DELLE CARRIERE? (CON SCUSE A VALLE DELLA NEWSLETTER DI APRILE)

4) REFERENDUM. 3 SI', 1 NO.

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1) SEPOLTI IN MARE. I VALORI OCCIDENTALI INSIEME A BIN LADEN.

Maggio si è aperto con la notizia che ci ha svegliati il 2 mattina: in un blitz delle forze speciali USA lo "sceicco del terrore" era stato ucciso in Pakistan, e il cadavere sepolto in mare nel rispetto del rito islamico.

Nei giorni successivi c'è stata una pioggia di ricostruzioni dell'incursione: quanti uomini, quanti elicotteri, quali tecnologie antiradar, quali armi speciali. I colpi sparati, la resistenza incontrata, Osama ucciso davanti alle figlie oppure fuori dalla loro vista. Naturalmente non sapremo mai la verità, dato che il segreto e la sorpresa sono fondamentali per questo tipo di operazioni.

Nelle piazze americane si è festeggiato. Molti leader mondiali si sono complimentati. Nel panorama diplomatico plaudente, una voce dissonante: non si festeggia un'uccisione, ha detto il Vaticano.

Personalmente capisco la felicità di un americano che ha vissuto l'11 settembre, ed ha ancora negli occhi la crudeltà gratuita di quella strage, con le vittime intrappolate ai piani alti delle torri al bivio tra gettarsi nel vuoto o morire tra le fiamme. Oggi l'ideatore di quella strage è stato ucciso, non importa come: si festeggia, il mondo sembra migliore di ieri.

Avverto anche il fascino per la capacità militare e di intelligence dimostrata in questa operazione, e riconosco una genialità nella comunicazione della Casa Bianca, che ha diffuso le foto non del blitz, ma della "Situation Room", con i volti tesi e intensi del presidente Obama, della Clinton e dei massimi vertici militari che seguivano preoccupati il procedere dell'azione, conferendole una suspence collettiva da evento epocale (il primo atterraggio sulla luna, il primo trapianto di cuore... ce la faranno i "nostri"?) e un sollievo liberatorio sul risultato (un cancro estirpato, un atto di esorcismo riuscito: i "nostri" ce l'hanno fatta).

Ma, concesse tutte queste ragioni ai fautori della "soluzione sbrigativa", non posso concordare col presidente Barak Obama quando in un'intervista (data alla CBS e pubblicata in Italia da Repubblica) ha affermato: "A chi dubita che uccidere Osama sia stata una buona scelta consiglio di farsi visitare".

Caro presidente della maggior democrazia mondiale, non è segno di squilibrio psichico pensare che sarebbe stato più coerente con i valori democratici propri dell'occidente (e quindi anche tuoi, soprattutto tuoi) arrestare Bin Laden anziché ucciderlo sul posto. Non è follia ritenere che un processo e una condanna secondo il diritto internazionale sarebbe stato più utile, nella lotta al terrorismo, di una affrettata sepoltura in mare (e nessuno può credere che tu dubitassi della possibilità di custodirlo in sicurezza per la durata di un processo).

In questo modo, invece, hai dato l'impressione di far prevalere la vendetta sulla giustizia. Di considerare il mondo come terreno di caccia, come ring dove batterti contro il "nemico", piuttosto che una comunità di paesi insieme alla quale isolare e anche eliminare, ma secondo giustizia, i terroristi. Oppure, hai ammesso di temere quello che Bin Laden avrebbe potuto raccontare, rispetto agli appoggi e alle coperture ottenute.

Non critico il blitz, che probabilmente non avrebbe avuto successo se "condiviso" con le forze pakistane. Critico l'esecuzione sul posto, che - come mi ha fatto notare un amico, avvocato e fine osservatore della simbologia criminale - "condotta da Leon Panetta, già a capo della CIA e oggi del Pentagono, ma di origini calabresi, sembra corrispondere in molti dettagli al rito delle ‘Ndrine: uccisione in casa, anzi in camera da letto; sparo in faccia; e sparizione del cadavere".

Come ha scritto Claudio Magris sul Corriere del 18 maggio ("Quando la dea della giustizia si trasforma nella dea della Caccia":  bell'articolo, lo consiglio) "l'uccisione di Bin Laden è stata un atto di guerra, non l'esecuzione di una sentenza. ... La giustizia non ha nulla a che vedere con la gioia per la morte di un colpevole. ... Si può capire la folla in festa per la morte di Bin Laden. Credo non sia male provare un senso di assoluta rivolta contro certe efferate e vigliacche violenze. ... Ma tutto ciò non ha nulla a che fare con la giustizia".

Sepolti in mare, oltre al corpo di Bin Laden, sono stati in questa occasione anche molti valori occidentali. E questa sepoltura, iniziata dagli USA nell'oceano indiano, continua nel Mediterraneo per mano dell'Europa, che assiste indifferente al ribaltarsi di barconi colmi di disperati in fuga dai regimi africani.

 

2) ELEZIONI A BOLOGNA. NUMERI, RIFLESSIONI E CONFERME.

2.1 - Istantanea nazionale: vincono le persone.

Non ho spazio per commentare Napoli e Milano, perché anche limitandomi a Bologna c'è molto materiale. Dico solo che in generale, qui come altrove, le primarie hanno funzionato, nonostante fino a pochi mesi fa molti nostri dirigenti nazionali dichiarassero ogni giorno che avevano bisogno di "un tagliando", e nonostante che proprio a Milano, quando Pisapia superò alle primarie il candidato PD, la dirigenza locale reagì dimettendosi in massa (in segno di serena accettazione del risultato, ovviamente).

La fiducia era tale che fino a pochi giorni prima del 15 maggio chi avesse profetizzato che il candidato sindaco di centrodestra avrebbe perso di 10 punti a Milano e addirittura di 30 punti a Napoli sarebbe stato considerato pazzo.

Bisogna osservare che Pisapia e De Magistris non sono del PD (non escono cioè dal processo selettivo della classe dirigente del maggiore partito di opposizione), ma si sono affermati il primo grazie a consultazioni primarie che è stato il PD a sostenere politicamente e organizzativamente, e il secondo attraverso un primo turno che ha funzionato un po' come una primaria, facendo emergere la personalità di maggiore rottura con le gestioni precedenti.

I risultati di queste e di altre città dimostrano come sempre più gli elettori guardino alle persone, ai loro profili e la loro credibilità, più che alle sigle di partito. E in questo vedo confermata una delle mie vecchie tesi.

2.2 - Zoom su Bologna. I numeri reali.

Venendo a Bologna, partiamo dai numeri, e da quelli assoluti (le percentuali da sole ingannano) del Comune.

Amministrative 2004. 261.450 votanti (81% di affluenza), 254.094 voti validi (oltre 7.000 tra bianche e nulle). Per Cofferati votano 142.026 elettori.

Amministrative 2009. 233.045 votanti (78,9% di affluenza), 226.976 voti validi (quasi 6.000 tra bianche e nulle). Per Delbono votano 112.131 elettori. Per il PD (consiglio comunale) i voti sono 85.183.

Amministrative 2011. 215.534 votanti (71,4% di affluenza), 210.185 voti validi (5.300 tra bianche e nulle). Per Merola votano 106.070 elettori. Per il PD (consiglio comunale) i voti sono 72.335.

Quindi, in 7 anni i voti per il sindaco "vincente" sono calati di 36.000 unità, circa il 25% di elettori in meno. 30.000 si sono persi tra Cofferati e Delbono, altri 6.000 tra Delbono e Merola: ma essendo aumentato l'astensionismo e quindi diminuito il "divisore", la percentuale di risulta accresciuta (Delbono si fermò sotto il 50%, Merola lo ha superato dello 0,5% (circa 970 voti).

In 2 anni il mio partito ha perso quasi 13.000 voti, circa il 15% in meno. E' vero anche che alle regionali 2010, fresco del caso Delbono, il PD aveva raccolto in città 71.950 voti, quindi 385 in meno di quanti ne ha raccolti oggi (e ha dunque ragione anche chi dice che il punto più basso è dietro di noi). Ma il confronto con l'elezione omologa, quella di 2 anni fa, deve far pensare.

Queste le percentuali "assolute", ovvero calcolate non sul 71,4% che ha votato, ma sull'intero corpo elettorale (ringrazio l'amico Loris Marchesini per questi dati):

Astensione: 81.442 (circa il 28% in assoluto)
PD: 72.335 (circa il 24% in assoluto)
PDL: 31.374 (circa il 10% in assoluto)
Lega: 20.268 (circa il 6,7% in assoluto)
Amelia-SEL: 19.358 (circa il 6,4% in assoluto)
Movimento 5 stelle: 17.778 (circa il 5,9% in assoluto)
Nulle, bianche, contestate: 5.349 (circa l'1,8% in assoluto)

Si conferma quindi che il primo partito, anche a Bologna, sarebbe quello dei disillusi che non vanno più a votare, e che sono cresciuti del 10% in 7 anni, e che, uniti a quelli del voto bianco o nullo sfiorano addirittura il 30%. Un partito di sinistra, che crede alla democrazia e alla partecipazione non può fare spallucce davanti a questo fenomeno.

2.3 - Gli eletti in Consiglio. L'obiettivo del PD: consenso o collocamento?

Veniamo ora ai consiglieri eletti. Avevo scritto di un difficile rapporto del PD con il mondo del lavoro vero, quello che vive tutti i giorni il problema di arrivare a fine mese (e penso ai dipendenti e ai precari), o di racimolare un euro in più di incasso rispetto ai costi e alle tasse (e penso alle partite iva, ai commercianti, agli artigiani, ai piccoli imprenditori). Avevo detto che alcuni nomi in lista erano stati messi col criterio della collezione Panini (ce l'ho, mi manca), con il doppio intento di simulare una rappresentanza (soprattutto nel mondo della produzione, dell'imprenditoria) e di garantire l'elezione ai soliti noti.

Cosa è accaduto? Che l'imprenditore, l'imprenditrice e l'operaia sono arrivati rispettivamente terz'ultimo, penultima e ultima su 36 (vedi a questo link). Anche mettendo insieme i loro voti, in 3 sono arrivati a raccogliere 441 preferenze, insufficienti a eleggere un solo consigliere. Questo per dire con quale criterio di radicamento e di riconoscibilità sono state scelte le "figurine". Mi ero sbagliato?

Questo mi fa venire in mente un altro episodio illuminante, risalente ai giorni della formazione delle liste in quartiere. In un certo quartiere era stata individuata una ragazza giovane, capo scout, attiva nel volontariato (scuola di italiano per stranieri), che aveva dimostrato capacità di iniziativa (organizzazione di incontri a scuola con personaggi di calibro nazionale ecc.) e leadership politica (600 voti raccolti dalla sua lista al Consiglio di Istituto). Il tutto avendo ottimi voti a scuola (perché anche qui la politica e l'impegno civile non possono sostituire l'impegno primario nello studio). Consultandomi mi chiede un dirigente locale: "Avrebbe i voti per essere eletta?" Ed io, sbagliando tattica, dico "Sì, alla grande". Bene, quella ragazza non è stata messa in lista. Perché, secondo voi?

Vi porto un ultimo indizio del rapporto tra PD e consenso. E' la lettera inviata a tutti gli iscritti in aprile, che iniziava con un inconfondibile "Caro/a amico/a, caro/a compagno/a (un incipit che vale una firma), ormai siamo vicinissimi al voto del 15 e 16 maggio 2011".

Bene, questa lettera proseguiva citando prima il "momento così pericoloso che vede Berlusconi pronto a tutto pur di conservare il potere", poi il "lungo periodo di commissariamento" e infine la candidatura di Merola, il suo programma e la lista di 36 candidati come elementi di ritorno alla democrazia: "Tutti debbono poter concorrere. Per questo - cito letteralmente - anche quest'anno chiediamo agli iscritti di esprimere tutti una preferenza, dopo aver fatto la croce sul simbolo PD. Ti chiediamo quindi, d'intesa con l'Unione di Bologna del partito, di dare la tua preferenza a XXX YYY (il nome di un candidato), una proposta cittadina qualificata che viene abbinata al tuo territorio".

Quindi: evviva il ritorno al voto, evviva la democrazia, evviva la concorrenza tra candidati, purché secondo le indicazioni del partito. Non fa sorridere?

In proposito molto interessanti sono le osservazioni presentate da Salvatore Vassallo alla direzione provinciale del PD lo scorso 27 maggio. Semplificando un po', mi sembra dimostrino come il partito nella distribuzione territoriale delle candidature abbia "aiutato i fedeli" e lasciato che gli spiriti liberi si arrangiassero.

2.4 - Il caso Cevenini.

Con le oltre 13.000 preferenze personali ottenute per il Comune, Maurizio Cevenini, pure fresco di elezione al Consiglio Regionale(un anno fa), ha certamente dato un contributo essenziale alla vittoria di Merola (si sa che il suo profilo un po' "piacione" gli fa ottenere consensi anche in un elettorato esterno a quello del PD).

Mi è dispiaciuto però un fatto (Maurizio, se ho criticato Barak Obama, puoi accettare anche tu un mio rilievo...) E il fatto è che prima delle elezioni aveva dichiarato ad ogni piè sospinto che "avrebbe deciso dopo il voto, insieme al partito, se dimettersi da una delle due cariche" (lo ha detto anche a Report), mentre dopo ha sostenuto che non aveva mai pensato di dimettersi perché nella richiesta del partito di candidarsi al Comune era implicata la deroga allo Statuto (che prevede l'incompatibilità tra le due cariche, per il principio secondo il quale in ogni istituzione è doveroso dare il meglio di sé, ed è fisicamente impossibile essere presenti alle sedute di Commissione, che costituiscono gran parte dell'impegno consigliare durante la settimana, in Comune e in Regione contemporaneamente).

Con la valanga di preferenze personali ottenute, e con la personalità bonaria, equilibrata e signorile che lo caratterizza, Cevenini era il profilo perfetto per fare il Presidente del Consiglio Comunale, ruolo di garanzia istituzionale e di rappresentanza (e lui è un vero maestro in materia, come ho potuto verificare nei 5 anni in cui ha diretto i lavori del Consiglio Provinciale).

In proposito riporto la nota che ho scritto su Facebook a fine maggio.

Abbiamo criticato per anni i leader di centrodestra che si candidavano dappertutto per trainare con la notorietà del loro "marchio" qualsiasi lista, e adesso che finalmente abbiamo un buon "marchio" anche noi a Bologna (il Cev appunto) facciamo come loro?

L'elettore laico e scafato pensa: "La contrarietà del PD ai doppi incarichi (codificata nello statuto del partito) allora non era dovuta ad una convinzione etica (in politica si fa una cosa per volta e la si fa per bene), ma alla mancanza di facce spendibili". Anche l'idea che il consenso elettorale legittimi tutto ("sul doppio incarico hanno già deciso gli elettori", hanno detto i vertici del PD) è molto berlusconiana. Il consenso va utilizzato, e non è detto che il sentimento degli elettori verso fenomeni di carrierismo in politica sia tale da considerare "stucchevole" la questione del doppio incarico (era stato Donini a liquidarla così). Il successo elettorale non è un salvacondotto per qualsiasi scelta successiva.

Poi il Cev è certamente bravissimo a presidiare luoghi e momenti "civici" (matrimoni, partite, inaugurazioni, premiazioni, tombole) ma mantenendo il ruolo di consigliere in due posti rischia di togliere spazio a figure meno famose ma forse più idonee a fare davvero il lavoro da consigliere (leggere gli atti, chiedere documenti, fare da tramite con i cittadini su problemi concreti)

Personalmente continuo a credere che per carattere e personalità Maurizio sarebbe perfetto come presidente del Consiglio Comunale (ruolo istituzionale, non politico, dove la sua bonarietà "super partes" ha dato e darebbe ancora il meglio di sé). E che un gesto di generosità come quello di "liberare un posto" non farebbe che rafforzarne l'immagine e la popolarità.

Sappiamo come è andata. La carica di presidente del Consiglio Comunale è servita a sistemare altri conti interni al partito (ho sempre visto Simona Lembi - non me ne voglia per questo - come figura caratterizzata in senso più "battagliero" che "istituzionale"), e Maurizio Cevenini, tornato soldato semplice pur con un numero di voti equivalenti a quelli di un partito alleato, siede in due Consigli (Comune e Regione).

2.5 - La giunta e lo staff del Sindaco.

Merola ha presentato una giunta con 3 caratteristiche obiettivamente nuove: veloce (l'ha formata in pochi giorni), giovane (anche troppo, secondo alcuni), e con parità di genere. Anche i condizionamenti dei partiti non sembrano avere prevalso (la presenza di Amelia Frascaroli, con le sue 4.000 preferenze determinanti per la vittoria al primo turno, è stata una scelta di buon senso più che una concessione al Cencelli). Il difetto può essere forse quello di essere una giunta un po' "difensiva", formata in gran parte da persone tratte da una cerchia piuttosto ristretta, ma d'altronde se questa deve essere la squadra del Sindaco, è giusto che sia lui a sceglierla secondo criteri di fiducia e di relazioni personali forti. Ed è giusto, da parte nostra, aspettare a giudicarla dai fatti.

Meraviglia ha destato piuttosto la scelta del Capo di Gabinetto, quel Marco Lombardelli che nessuno aveva mai visto impegnato durante la campagna per Merola, e che infatti fa parte di quel gruppo (ben radicato in Regione) che confezionò la candidatura di Delbono e che ha osservato l'avventura di Merola dalla finestra, con esibito distacco. Che significato ha dunque questa nomina? Pagamento di un debito o apertura di credito? Anche qui saranno i fatti a dircelo.

Se nel sindaco prevarrà la spinta innovatrice o il bisogno di sistemare persone e conti aperti interni al partito, lo vedremo anche dalle imminenti nomine nelle società partecipate.

3) POLITICA E LAVORO. SEPARAZIONE DELLE CARRIERE? (CON SCUSE A VALLE DELLA NEWSLETTER DI APRILE)

La mia newsletter di fine aprile ha suscitato molte reazioni, per lo più positive. Su un punto particolare, laddove segnalavo alcune scelte del partito a mio giudizio discutibili a livello provinciale, queste reazioni sono state invece negative.

Il mio vecchio collega di partito (Margherita) e di consiglio provinciale, Fabrizio Castellari, ora segretario del PD di Imola, a seguito delle mie osservazioni sullo strano intreccio tra cariche pubbliche e proprietà terriere, a Medicina (feudo imolese), mi ha attribuito "una personalità confusa e infelice". Caro Fabrizio, non credo si tratti di questo. Si tratta piuttosto del fatto che, a Medicina come altrove, accade che le stesse persone siano contemporaneamente controllori (come pubblici amministratori) e controllati (come attori economici del territorio), con evidente rischio di conflitti di interesse. Lo dico senza alludere a nulla di illegale, ma semplicemente di inopportuno, e senza voler offendere alcuno.

A proposito di offese, il presidente del Consiglio Provinciale, Stefano Caliandro, si è dichiarato in diverse sedi di partito offeso dalle mie parole. Mi dispiace, e me ne scuso, perché al di là delle mie intenzioni (lontanissime dal voler colpire la persona), se questo è stato l'effetto ho certamente sbagliato.

Il mio era un discorso politico, o meglio sociologico, peraltro non nuovo, sui criteri con cui il PD sceglie le persone da avviare alla carriera di dirigente politico e di amministratore, e sugli effetti a mio giudizio negativi che questo ha sulla divaricazione tra "società politica" e "società reale", laddove la prima tende sempre più a proteggersi e a garantirsi fonti di reddito attraverso cariche pubbliche o comunque controllate dalla politica, mentre la seconda, esposta ai rovesci del mercato del lavoro e alla crisi economica, si sentirà sempre meno compresa e rappresentata dalla prima.

Qui davvero, tra "politica" e "lavoro", rischia di realizzarsi quella "separazione della carriere" che Berlusconi vorrebbe imporre ai magistrati: è sempre più raro vedere, nel PD bolognese, un amministratore o un dirigente in carriera che, prima di dedicarsi alla politica, ha fatto una esperienza vera (che significa indipendente dalla politica) nel mondo del lavoro. Come è raro vedere un politico che, dopo un periodo a servizio della comunità, torna ad un mestiere suo, indipendente dalla politica.

Questa separazione delle carriere è favorita da un partito che si dà come priorità quella di "sistemare" nelle cariche istituzionali o di sottogoverno persone in cerca di mestiere, quindi aspiranti politici di professione perché senza professione. E questa separazione delle carriere non è dannosa tanto per il suo "costo vivo" in termini di stipendi pagati con soldi pubblici, quanto per le sue conseguenze sulla cultura e sull'intelligenza politica del partito.

Che con una classe dirigente siffatta fatica a comprendere le dinamiche dell'economia e dell'impresa, la difficoltà di affrontare costi certi e ricavi aleatori, i bisogni, le paure e le aspirazioni di chi tenta di investire e di creare occupazione, trovandosi contro una tassazione pesantissima (oltre il 50% in tempi di crisi, perché colpisce più il lavoro che il guadagno) e una Pubblica Amministrazione costosa, arcigna ed esente da responsabilità. Un partito diretto da personale così lontano da questa esperienza ha grandi difficoltà anche solo a capire la rabbia e la frustrazione di chi (artigiani, commercianti, professionisti, imprenditori) si trova a lavorare per 6 mesi all'anno (da gennaio ai primi di luglio) solo per pagare le tasse (e quindi per finanziare, tra le altre cose, anche le inefficienze della pubblica amministrazione e i parassitismi della politica). E se ha difficoltà a capire, figuriamoci a proporre soluzioni.

Questo volevo dire, cari amici e compagni. Su questo vorrei essere contraddetto, smentito, e anche processato se volete. Ma in una discussione seria e sostanziale, non burocratica.

Questo è un tema che dovrebbe interessare soprattutto i giovani (tanto più se Democratici), ma che invece mi sembra assente dai dibattiti nelle sedi di partito e dai programmi delle Feste dell'Unità. Vogliamo provare ad aprirlo?

E a proposito di giovani, l'intenzione del segretario Donini di selezionare un gruppo di nuove leve a cui dare una formazione politica e amministrativa è certamente buona, ma sconta il rischio che ha ben colto Paolo Serra su l'Unità del 3 giugno: "Attenzione a non creare una leva di professionisti che possano, con la stessa efficacia, sposare qualsiasi causa e sostenere qualsiasi tesi o, peggio, una nuova generazione di conformisti, questa volta addirittura patentati".

 

4) REFERENDUM. 3 SÌ, 1 NO.

E' tardissimo e non ho tempo di argomentare. Vado per flash.

Non ho dubbi sul Sì al legittimo impedimento. Sul Nucleare e sul primo quesito sull'acqua (abrogazione art. 23 - bis del D.L. 112 del 25 giugno 2008) ci sarebbe qualche distinguo da fare, ma qui "il contesto prevale sul testo", nel senso che la vittoria dei Sì, oltre ad andare in una direzione sostanzialmente condivisibile almeno in linea di principio, assume un valore politico importantissimo per indebolire ulteriormente Berlusconi.

Il secondo quesito sull'acqua (abrogazione di 7 parole, "dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito", dall'articolo 154 comma 1 del D.Lgs 152 del 3 aprile 2006 sulla Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato) invece mi sembra ideologico nelle argomentazioni e sbagliato nella sostanza (e lo dico sapendo che per il sì è schierato gran parte di quel mondo cattolico, missionario e di volontariato nel quale sono cresciuto). 

Di seguito alcuni link ad articoli che spiegano il perché.

http://www.qdrmagazine.it/2011/4/26/11_marattin.aspx

http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002313.html

http://www.landino.it/2011/04/un-errore-da-evitare/

http://www.econ-pol.unisi.it/blog/?p=1944

In breve: la rete idrica ha bisogno di investimenti molto consistenti. Gli enti pubblici (stato, comuni, regioni) sono già in difficoltà a mantenere il livello dei servizi, e non riescono a investire nulla. Escludere la voce di remunerazione del capitale come componente della tariffa significa, in linea di principio, tagliare fuori l'economia di mercato da questo settore, che vuol dire: o lasciare andare a male gli impianti, o caricare sulla fiscalità generale i costi, o fare ulteriore debito pubblico scaricando sulle generazioni future i nostri sprechi.

Uno dei presupposti (falsi) della campagna referendaria è stato: se un bene è pubblico deve essere gestito dalla mano pubblica. Se l'acqua è un diritto, la sua gestione deve passare per società pubbliche e non private.

Ma anche la mobilità è un diritto, eppure non ci scandalizza che per muoverci in città possiamo prendere un autobus (pubblico) o prendere un taxi (privato). Stessa cosa per la salute.

Il punto è che l'acqua deve essere accessibile a tutti (cosa che oggi non è, nemmeno in Italia) e va trattata come un bene prezioso, non sprecata (oggi le perdite della rete idrica sono circa del 35%, oltre un terzo di quanto viene immesso va perduto). Siamo sicuri che la gestione pubblica (quindi in capo a società partecipate, a nomine politiche, governate dalle logiche che conosciamo) sia sempre e comunque in grado meglio del privato di rendere l'acqua più accessibile e di ridurre gli sprechi?

Un altro presupposto è che il privato sia più costoso perché deve realizzare un utile di cui il pubblico può fare a meno. Questo sarebbe vero a parità di organizzazione, di tecnologia, di efficienza. Di fatto, invece, un servizio pubblico male organizzato costa di più, anche in perdita, di un servizio organizzato bene e in utile.

L'aver letto sui giornali che persone come Pietro Ichino e Matteo Renzi, figure di spicco di un PD come lo vorrei, riformista e rinnovato, condividano i miei dubbi mi ha confortato. Forse sono meno solo di quanto a volte non mi sento.

Un caro saluto a tutti, e domenica, comunque, tutti a votare. 

Andrea De Pasquale
www.andreadepasquale.it

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