Andrea De Pasquale

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Aggiornamenti aprile 2008

Rendiconto attivita' aprile 2008


Bologna, 29 aprile 2008.

Cari amici,

rieccomi al rendiconto sull'attività svolta in Provincia, stavolta nel mese di aprile. Rammento che per essere eliminati da questa lista basta farlo presente con una mail, mentre chiedo a quanti cambiano  indirizzo - e desiderano continuare a ricevere questi aggiornamenti - di segnalarmi il nuovo.

Come al solito citerò sommariamente i temi, rinviando al mio sito ( www.andreadepasquale.it ) per le argomentazioni e i dettagli.

Per risparmiarvi di leggere tutto questo messaggio (piuttosto lungo, causa qualche commento post elettorale), ho organizzato il rendiconto in 4 argomenti principali, così potete saltare direttamente a quello che più vi interessa:

1) PIANIFICAZIONE TERRITORIALE: DIMISSIONI MEIER, ADOZIONE PMP, RIQUALIFICAZIONE VIA LIBIA.
2) TRASPORTI: NUOVI ELETTROTRENI E ALTA TENSIONE IN AEROPORTO.
3) MIGLIAIA DI GIOVANI IN PIAZZA: E' ANTI-POLITICA?
4) TRE LEZIONI DALLE ELEZIONI (VERSO BOLOGNA 2009)

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1) PIANIFICAZIONE TERRITORIALE: DIMISSIONI MEIER, ADOZIONE PMP, RIQUALIFICAZIONE VIA LIBIA.

Al tema della pianificazione territoriale si riconduce il fatto politico più rilevante del mese trascorso, ovvero le dimissioni dell'assessore Pamela Meier, in dissenso sul piano del Commercio. Un dissenso - è parso di capire - più dovuto ad aspetti procedurali e di competenze degli assessorati (Meier si è sentita esautorata e scavalcata), che ad aspetti di merito, sui quali né il suo partito (Verdi), nè la Sinistra Arcobaleno ha avuto obiezioni.

Sempre in materia di pianificazione, con la IV Commissione del 22 aprile (e il Consiglio del prossimo 6 maggio) la Provincia adotta il Piano della Mobilità Provinciale (PMP), attuativo del PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) del quale ovviamente recepisce e concretizza gli obiettivi. Interessante in Commissione l'accerchiamento politico in cui si viene a trovare il PD (insieme all'Italia dei Valori), attaccato dal lato sinistro da chi rifiuta il Passante Autostradale Nord, e dal lato destro da chi rifiuta il sovrappedaggio autostradale (Road Pricing) a carico del traffico di attraversamento e a beneficio del Servizio Ferroviario Metropolitano. Un accerchiamento che a mio giudizio consolida la posizione virtuosa di un partito post-ideologico e pragmatico, favorevole alle grandi infrastrutture ma insieme deciso a utilizzarle per finanziare le modalità più sostenibili del trasporto.

E ancora di pianificazione si tratta a proposito del progetto di riqualificazione del comparto di via Libia di proprietà della Provincia (l'area dell'ex deposito ATC a fianco del ponte sulla ferrovia), e che si intende vendere per finanziare il piano di edilizia scolastica. Esaminato nella IV Commissione del 21 aprile, ed approvato nel Consiglio del 22 aprile, il progetto suscita un'ampia discussione che vede la minoranza di centrodestra opporsi perché contraria all'utilizzo di parte del ricavo della vendita per la costruzione di una nuova sede dell'Associazione "Piazza Grande": una posizione che nel mio intervento giudico miope, soprattutto da parte di chi si dice interessato a migliorare la sicurezza e il decoro di Bologna (obiettivo rispetto al quale è certamente meglio dare ai senzatetto un'opportunità di lavoro, come fa appunto Piazza Grande, piuttosto che spingerli a procurarsi il sostentamento in altri modi).

2) TRASPORTI: NUOVI ELETTROTRENI E ALTA TENSIONE IN AEROPORTO.

Nel consiglio dell'8 aprile fa capolino finalmente una buona notizia per il trasporto ferroviario locale: arrivano i primi treni elettrici in servizio sulla Bologna-Vignola, a potenziamento dei collegamenti negli orari di punta, e pare che a giugno tocchi alla Bologna-Portomaggiore veder finalmente circolare i primi convogli senza il pennacchio nero dei vecchi motori diesel. Un passo importante nell'attuazione del SFM.

Ma l'elettricità non manca nemmeno in Aeroporto, la cui presidente Gualtieri viene (nella IV Commissione del 4 aprile) a presentare il piano industriale della SAB. Se per le domande dei colleghi (molto interessanti) e le risposte dei dirigenti SAB (non sempre soddisfacenti) rimando al sito (alla voce "Attività della IV Commissione" - "Aprile 2008", in fondo alla pagina), confesso che mi restano alcuni dubbi: sulla determinazione di SAB a sfruttare al massimo tutte le attività collaterali (vedi la previsione di aumento dei ricavi da parcheggi, spazi commerciali, spazi pubblicitari), col rischio che l'eccesso di spremitura provochi un rigetto nell'utenza; e sulle fonti di finanziamento di questo piano. Ai quali si aggiungono gli interrogativi, sorti successivamente, sulla possibilità reale di arrivare agli obiettivi del Piano Industriale (10 milioni di passeggeri) con una sola pista...

3) MIGLIAIA DI GIOVANI IN PIAZZA: E' ANTI-POLITICA?

Il 25 aprile ho cercato di farmi un'idea da vicino del fenomeno "V2 Day" di Beppe Grillo, qui a Bologna. Da autenticatore delle firme, ho potuto constatare che il decennio di nascita più ricorrente tra i firmatari (oltre 5.000 solo in piazza Verdi) erano gli anni '80, seguiti a ruota dai '70. Più indietro i '60, poi i '50, '40, fino ai '30. Quindi una forte maggioranza di ventenni e trentenni, guardacaso le fasce d'età più escluse da una società "castale" come la nostra, e più difficili da coinvolgere in politica.

In fila per firmare i 3 referendum (abolizione della legge Gasparri sulle TV, del finanziamento pubblico ai giornali, dell'ordine dei giornalisti), c'erano capigliature rasta con orecchino insieme a giacche e cravatte, anziani col bastone accanto a mamme col passeggino, tutti gentili e sorridenti, convinti di essere lì a fare una cosa giusta. Nonostante le tante postazioni di firma (una trentina), le file erano consistenti, per firmare ci voleva pazienza e volontà. La stessa pazienza, la stessa volontà che ho visto - da presidente di seggio - nelle file per le primarie del 2005 e del 2007: perché dunque parlare di grande prova di partecipazione politica in un caso, e nell'altro di manifestazione anti-politica?

In piazza (Verdi) c'era un megaschermo con collegamenti da altre piazze d'Italia: tante, diverse, e tutte piuttosto piene. Non quindi un fenomeno costruito concentrando militanti da tutta Italia, ma un movimento diffuso e spontaneo, di cui Grillo è il catalizzatore quasi casuale, non certo l'origine. Gli interventi che ho sentito erano di denuncia del giornalismo servile, soprattutto in economia: si sono riletti articoli di autorevoli firme di quotidiani nazionali che, sino a pochi giorni prima del tracollo, magnificavano i bond Cirio e Parmalat come ottime scelte per investire i risparmi. E' antipolitica richiamare la stampa a fare informazione e non promozione commerciale? Si sono raccontate poi storie virtuose di giornalisti veri (e magari poco famosi), indicati come esempi da seguire: "diventiamo amici dei giornalisti onesti, per ringraziarli del loro lavoro e proteggerli dai ricatti", è stato lo slogan finale. E' demagogia scalmanata questa? E in una Piazza Verdi circondata di locali spennaclienti, ordinariamente afflitta da rifiuti e degrado, il V-Day ha portato un gazebo con la birra a 1,50 e decine di contenitori per la raccolta differenziata intorno, col risultato che una coppia di mezza età di passaggio si stupisce del clima tranquillo e del pavimento pulito, e ringrazia gli organizzatori per avergli restituito, per un giorno, una piazza civile...

Esemplare di come si possa essere sordi e ciechi davanti a questo fenomeno è l'editoriale di Merlo su Repubblica del 26 aprile, che dopo aver tracciato la solita caricatura di una piazza rozza e violenta risolve così il senso della manifestazione: "Grillo vorrebbe che i giornali scrivessero quello che vuole lui, come vuole lui...  (Ma) in Italia c'è una sovrapproduzione di informazione che, in menti sciagurate e mediocri, produce ingorghi alluvionali... L'importante è non attaccare il diritto di altri a ficcare il naso nella realtà". Peccato che accada esattamente il contrario: il V2 Day denuncia che sono pochi i giornalisti che si prendono la briga di ficcare il naso nella realtà, e mentre troppi ricopiano pari pari i comunicati stampa delle aziende (o dei partiti). E il preteso pluralismo dietro cui si nascondono i numerosi Merli d'Italia (uno strano "pluralismo dei fatti", dato che per un giornalista radical chic nemmeno la realtà è univoca, ma piuttosto "plurale", e chi lo nega è dogmatico e integralista), altro non è che "libertà dai fatti, ma obbedienza alle proprie opinioni", spesso interessate. Il contrario del giornalismo, insomma.

In sintesi. Quella che ho visto in piazza il 25 aprile non è antipolitica, ma domanda di una politica (e di una informazione) pulita, trasparente, soprattutto responsabile. Dispiace vedere come tanti tra politici e commentatori non sappiano o non vogliano capirlo. L'indignazione di quei ragazzi per lo stato delle cose, e il desiderio di fare qualcosa per cambiarle, sono da sempre le molle fondamentali dell'impegno politico, sia collettivo che personale. Disprezzare, svilire, irridere questa indignazione e questo desiderio è profondamente e pericolosamente sbagliato. Denota scarsa intelligenza o, peggio, paura.

Nel nostro piccolo di ente Provinciale, registro in proposito con soddisfazione (nel consiglio del 15 aprile) la "mossa anti-casta" della presidente Draghetti, che a proposito delle nomine politiche nelle società partecipate ha deciso di emanare un bando che invita chiunque a presentare un curriculum per candidarsi al ruolo di consigliere di amministrazione in forza di una specifica esperienza e competenza.  Un passo piccolo ma significativo per aprile le porte del palazzo e riavvicinare cittadini e politica.

4) TRE LEZIONI DALLE ELEZIONI (VERSO BOLOGNA 2009).

Non voglio fare la parte di quello che l'aveva previsto: pensavo che alle politiche l'improvvisato accordo tra Berlusconi e Fini (dopo mesi di reciproche contumelie) attraesse meno consensi, non mi aspettavo il trionfo della Lega (piuttosto assente dagli idolatrati spazi televisivi) nè la vittoria di Alemanno a Roma. Considero però prezioso e non scontato il 33% raccolto dal PD, che con questi numeri (solo il 4% sotto il PDL, uno stacco facilmente colmabile con una opposizione coerente, nitida e costruttiva) ha l'opportunità storica di definire meglio la propria fisionomia riformista e innovatrice, di aumentare la coesione interna, e di assumere un ruolo incisivo nel Paese. Tuttavia dalle urne mi sembrano uscire alcune lezioni che vanno accolte.

La prima è una lezione di umiltà.

Nei commenti e nelle interviste postelettorali di esponenti storici della sinistra, laddove interpretano il responso delle urne, ricorrono parole come "involuzione sociale", "arretratezza culturale", "fragilità intellettuale", "pericolosa deriva", e via sentenziando. Continua insomma, anche dopo la sconfitta, "la supponenza di essere - cultura e politica della sinistra - superiore per definizione", come ha scritto Marina Corradi su Avvenire (17 aprile). Da qui l'armamentario giustificatorio degli elettori che non hanno capito, degli errori di comunicazione (mai di pensiero, mai di azione), e infine lo snobista (e tanto scalfariano) sospiro di sopportazione per trovarci a vivere in un luogo e in un tempo che non ci merita, e non merita forse nemmeno la democrazia, visto che la usa così male, facendo vincere gli altri. E per questa via, irridendo prima il folclore leghista, poi il devozionismo meridionale, poi il populismo grillesco, infine il post-fascismo borgataro, ci siamo ritrovati - noi raffinati, noi colti, noi politicamente corretti - minoranza nel paese.  Che non sia il caso di scendere di cattedra e ritornare a sedere con umiltà accanto a chi non ci ha votato, per capirne le sue ragioni, anziché ripeterci le nostre?

L'esempio di come non bisogna fare ce lo ha dato in proposito ancora una volta la Sinistra Radicale, che nel suo inossidabile dogmatismo manicheo ha riproposto il conflitto di classe in un tessuto economico dove il 70% delle aziende sono piccole imprese messe su da ex operai o ex impiegati; che ha scelto lo slogan "Fai una scelta di parte", ovvero "me ne frego dei problemi delle altre parti"; e che oggi, davanti alla sconfitta, dà la colpa agli altri, al PD, al mancato voto disgiunto (come se fosse normale in politica campare di un consenso altrui)...

La seconda è una lezione di territorialità.


La Lega non ha vinto andando a Porta a Porta, ma facendosi carico (o almeno provandoci) dei problemi concreti del territorio. Una deputata leghista eletta in Emilia Romagna è di Lampedusa: aveva rivolto un appello ai partiti per un problema della sua isola, la Lega è stato l'unico partito a risponderle e ad occuparsi del problema. Più che xenofobo, il tratto vincente della Lega è sembrata la vicinanza ai problemi del territorio, la disponibilità dei suoi amministratori verso i cittadini, la volontà di provare ad affrontare i nodi, sia pure in modo talvolta rozzo o dilettantesco. I chilometri di strada macinati dai dirigenti per incontrare ogni sera i cittadini delle periferie e delle frazioni, i cellulari sempre accesi, la prossimità ai problemi reali degli elettori hanno contato, credo, più degli slogan e dei proclami, spesso sgangherati. Ma territorialità vuol dire anche scegliere come candidati persone conosciute e apprezzate sul territorio per il lavoro che svolgono in mezzo ai cittadini. Invece le liste composte nel "loft" (luogo frivolo sin dal nome) hanno spesso saltato i quadri locali, alienandosi simpatie e reti locali di appoggio. Mi scrive un amico da Verona: "Qui ci dovremo sorbire il leghista Calearo, che solo 2 anni fa sbraitava per lo sciopero fiscale contro Roma Ladrona. Si strizza l'occhio ai mal di pancia del nord-est e si schifa chi come me tanti altri non li ha mai condivisi. Sono più i voti che si perdono di quelli che si prendono, in questo modo". Fatico a dargli torto.

La terza è una lezione di credibilità.


Succede così: che gli elettori trattano peggio chi li delude avendoli illusi, rispetto a chi nemmeno li ha illusi. La destra non ha mai promesso partecipazione e democrazia interna: ha semplicemente chiesto agli elettori una delega per avere mani libere. Noi a sinistra invece abbiamo detto, e dichiarato, e promesso, che la partecipazione e la democrazia interna sono valori fondativi del nostro stile politico. Ci sembrava bello dirlo, e scriverlo, e così abbiamo fatto. Adesso però dobbiamo agire in coerenza, sennò veniamo bastonati dai nostri sostenitori peggio che mai: se non eravamo decisi a mantenere, sarebbe stato meglio non promettere nulla.

Ha dunque ragione Parisi, che sull'Espresso del 16 Aprile pone un problema di credibilità della classe dirigente di un PD dove "Veltroni ha caricato tutta la novità sulle sue spalle, sulla sua leadership", mentre intorno, negli organi dirigenti, negli apparati locali, nelle liste si operava nella più rigorosa continuità. In questo modo «i numeri assoluti ci dicono che il centrosinistra rispetto al 2006 ha perso per strada più di tre milioni di voti. Che fine hanno fatto questi tre milioni di persone? (...) Purtroppo le primarie che hanno eletto Veltroni invece di fondarsi su un confronto sul futuro, hanno preferito essere una conta e una somma di liste che venivano dal passato. E così è stato per le due assemblee costituenti nelle quali la celebrazione ha preso il posto della discussione. Il risultato è stato che il Pd è stato chiamato a parlare prima di aver avuto il tempo di pensare, almeno a livello collettivo», conclude uno dei padri fondatori dell'Ulivo.

Mia conclusione tutta bolognese di questo ragionamento: dopo aver scritto nello Statuto del PD (articolo 18) che lo strumento naturale per la selezione dei candidati del PD sono le primarie, in vista delle amministrative 2009 non possiamo permetterci di arrivare tardi, di trovarci in stato di emergenza, di dire ancora una volta che "non c'è tempo" per una consultazione vera e aperta della base del partito su nomi e programmi dei futuri leader locali. Ne andrebbe irrimediabilmente della nostra credibilità presso i nostri sostenitori ed elettori, con immediati riflessi in termini di delusione, demotivazione e quindi di risultati elettorali.

A questo rischio credo si possa porre rimedio in un solo modo: definendo rapidamente, entro metà giugno, un regolamento chiaro che renda effettivamente praticabili a Bologna delle vere consultazioni primarie, entrate di fatto e di diritto nel DNA democratico, e non più rinviabili. Un regolamento che incentivi, e non scoraggi, la presentazione di candidature, prevedendo soglie accessibili a chi ha idee e proposte politiche. Se malauguratamente dovessero invece prevalere le cautele e le paure di chi è disposto a giocare solo le partite già vinte a tavolino, temo che la dura lezione di Roma possa ripetersi anche qui a Bologna.

Scusate la lunghezza, ma così vi ho detto tutto. Un caro saluto a ciascuno, con gli auguri di un buon primo maggio, festa del lavoro.

Andrea De Pasquale
consigliere provinciale del PD
presidente IV Commissione "Pianificazione, Trasporti, Viabilità"
Provincia di Bologna
www.andreadepasquale.it
Per contattarmi: scrivi@andreadepasquale.it - Per ricevere il mio rendiconto mensile: aggiornamenti@andreadepasquale.it
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