Andrea De Pasquale

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Sindacalismo castale in ospedale: chiediamo i nomi

A valle del caso Lanzoni - Corrado, una presa di posizione chiara sull'inaccettabile corporativismo di alcune sigle sindacali mediche che difendono comportamenti indifendibili (vedi comunicato sindacale allegato in fondo alla pagina).

Il 15 maggio 2008 leggo sui giornali locali una incredibile presa di posizione dei sindacati dei dirigenti medici del S. Orsola contro il licenziamento del collega Giuseppe Corrado, primario di urologia e responsabile della manomissione della cartella clinica della signora Daniela Lanzoni, morta in ospedale in seguito ad una serie di errori medici (scambio di lastre, mancata somministrazione di farmaci anticoagulanti, ecc.) alcuni mesi fa qui a Bologna.
 
Ho pensato ad una forzatura giornalistica e mi sono procurato il comunicato originale. Che invece purtroppo si conferma non solo inaccettabile, ma anche allarmante per i cittadini, potenziali pazienti di reparti diretti dagli estensori di quel documento.
 
In perfetto stile sindacalese (laddove invoca la "restaurazione del rigoroso rispetto della contrattualistica collettiva e di quanto congiuntamente convenuto dalle rappresentanze negoziali e sindacali..."), il testo, sottoscritto da 86 dirigenti medici, bolla come "discriminatorio e antisindacale" l'atteggiamento dell'azienda, che ha licenziato il dott. Corrado a valle di una indagine interna che ha accertato non solo la sua responsabilità diretta nella manipolazione della cartella della signora Lanzoni (sulla quale, dopo il suo decesso, sono state annotate in modo posticcio la prescrizione e la somministrazione di un farmaco, in realtà mai avvenute), ma anche nell'intimidazione del personale infermieristico, diffidato dal rivelare la verità.

Dopo aver sostenuto che l'azienda sanitaria avrebbe dovuto decidere "solo dopo che la Magistratura - inquirente e giudicante - avesse terminato il proprio compito e la verità processuale, raggiunta da un giudicato definitivo di colpevolezza... attraverso quelle guarentigie ordinamentali e costituzionali assicurate dal contraddittorio e dai vari gradi procedimentali esperibili e percorribili", il comunicato anticipa, come azione di rivalsa, la richiesta da parte dei dirigenti del pagamento di 200.000 ore di straordinario, che "non saranno graziosamente regalate all'azienda".
 
Sulla morte della signora Lanzoni, sulla falsificazione dei suoi documenti clinici, sulle minacce al personale ospedaliero: nulla, nemmeno una parola.
 
Da questo comunicato, esemplare di una mentalità "sindacal-castale" diffusa evidentemente anche nei corridoi della sanità, emergono 3 messaggi, tutti inaccettabili: che tra i diritti di un medico c'è quello di falsificare una cartella clinica e minacciare i colleghi che non volessero stare al gioco; che un'azienda non può licenziare un suo dipendente, magari colto a rubare, se non dopo l'esito di tutti i gradi di processo (circa una quindicina d'anni); che rivendicare gli straordinari (a proposito: nelle aziende private, la qualifica dirigenziale esclude il riconoscimento di straordinari: ma forse qui è diverso...) è più importante, per dei dirigenti medici, che chiedersi come sia stato possibile aver causato la morte di una paziente. Come cittadino e come amministratore domando: quanti medici si riconoscono in questa linea? Quale fiducia possono avere i cittadini in una categoria, quella dei medici, che si lascia rappresentare in questo modo?
 
Alle sigle ANAAO-ASSOMED e CIMO-ASMD (il comunicato non è infatti firmato con nomi e cognomi, ma solo da sigle), che si sono dispiaciute per "il silenzio delle istituzioni amministrative comunali, provinciali e regionali", desidero togliere almeno questo dispiacere: mi associo agli assessori alla salute (comunali, provinciali e regionali) che hanno definito non solo legittimo, ma anche doveroso il licenziamento in oggetto (dovuto - lo ricordo - non all'errore medico, ma al comportamento successivo, doloso e manipolatorio). E vado oltre, chiedendo formalmente e pubblicamente ai sindacati suddetti di dire (a noi amministratori, a noi cittadini, a noi potenziali pazienti) nomi e cognomi degli 86 camici bianchi che hanno condiviso quel comunicato. Ci serviranno, quei nomi e cognomi, per cautelarci il giorno in cui dovessimo entrare al Sant'Orsola, per noi stessi o per qualche parente o amico a cui vogliamo bene.

Bologna, 29 maggio 2008
Per saperne di più: Comunicato ANAAO-CIMO.doc
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